All’età di meno due mesi dalla mia nascita evasi dal grembo materno calandomi dal cordone ombelicale, una cosa da sbellicarsi dalle risa. Purtroppo fui beccato dalla polizia sanitaria e venni processato per direttissima. Mi avrebbero dato due mesi col condizionale, se non fosse stato che vomitai sulla cravatta del giudice di turno, che con tono imperativo dispose per gli arresti domiciliari con l’obbligo di residenza nell’utero di mia mamma. Mi annoiavo tremendamente, ma il peggio era non avere sigarette da fumare. Passavo il tempo sbirciando la tivvù tra le cosce di mia madre. Trascorreva le giornate senza far niente sulla sdraio, tranne quando bussava alla porta qualcuno. Lei urlava “è aperto” e di solito entrava il lattaio o l’idraulico o il fattorino del macellaio o il sagrestano e mia madre diceva “quasi, quasi mi sdraio un po’ sul letto” e si alzava dalla sdraio. A quel punto qualcuno spegneva la luce e io tentavo di schiacciare un pisolino, ma finivo sempre per schiacciare un pistolino e l’uomo di fatica di turno bestemmiava tutti i santi del paradiso, andandosene sbattendo la porta tra le preghiere di mia madre di restare ancora un po’. Non c’era verso di convincerli e lei tornava a sedersi sulla sdraio a guardare la tivvù. A volte s’appisolava e io, sgrafignando il telecomando, cambiavo canale mettendo su una soap erotica, si trattava di solito della serie Un posto all’asilo nido. Non era male, peccato che vi recitavano attori un po’ troppo vecchi per i miei gusti.
Edipo Nascimbene
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