Achille era un ragazzo d’oro o meglio, di ferro placcato in oro. Tutti gli volevano bene, ma aveva un sol difetto: se lo facevi arrabbiare, anche per futili motivi, ti prendeva a tallonate in faccia. Ti picchiava a tallonate, si! Proprio così, a tallonate e non pensate che stia esagerando, che abbia voglia di attirare la vostra attenzione con un incipit eccessivo, perché la storia narrava proprio così…
Achille era un ragazzo normalissimo. Né magro né grasso, né alto né basso, né bello né brutto, le ragazze dicevano di lui che fosse brullo. Insomma, sarebbe passato del tutto inosservato se non fosse stato per il tallone sinistro di misure spropositate, ma talmente spropositate che i genitori, i coniugi Peleo, gli fecero confezionare un paio di scarpe speciali. La parte anteriore della scarpa sinistra venne realizzata in cuoio da un abile calzolaio, che fabbricò anche la scarpa destra, mentre la parte posteriore fu prodotta in acciaio dalle Mascalcie Riunite, la Premiata Ditta dello stimato commendator Manlio Scalco Teucro, suo cuginastro.
Costui, abile maniscalco sin dall’adolescenza, quasi per dono del divino Efesto, da una piccola bottega di paese era passato, con anni di duro lavoro dei suoi operai, a diventare il padrone delle più grandi ferriere della regione. L’acciaio era la sua passione e d’acciaio era anche, come dicevo, la parte posteriore della scarpa sinistra di Achille. Un prodigio della tecnica: era dotata di due grandi ruote anch’esse in acciaio, ma ricoperte di battistrada in resistente caucciù, collegate l’una all’altra da un possente asse balestrato, per attutire i colpi inferti dal gigantesco tallone al povero selciato, incolpevole di dover subire tale prova di resistenza strutturale al passaggio del ragazzino.
Le cose furono difficili sin dall’inizio. Achille fu costretto a dover collaudare su strada il carrello, per avere l’autorizzazione a circolare. Una sorta di patente, ma non poteva andare in tangenziale, nonostante fosse dotato di luci posteriori e segnaletica regolamentare, come gli indicatori di direzione lampeggianti… le frecce, insomma. Aveva anche l’obbligo di tenere il triangolo e il giubbotto catarifrangente nel bagagliaio, in caso di guasto o che bucasse una ruota.
Dapprincipio, il suo passaggio bloccava il traffico in paese, Mirmidonia. Poi i suoi concittadini, detti i mirmidoni, si organizzarono. Il sindaco istituì una speciale ZTL, la Zona a Tallone Limitato, che vietava la circolazione ai talloni oltre una certa cilindrata.
Il motivo per cui Achille avesse un simile tallone? Mah, nella contrada nessuno lo sapeva. Circolavano molte teorie, alcune delle quali divennero vere e proprie leggende che ne valicarono i confini, altre restarono al livello di chiacchiere da bar. Il bar del paese, il Bar Zelletta, per l’appunto. Il ritrovo di tutti i paesani dopo una dura giornata di lavoro nei campi o in fonderia. Gestito da Tony Zelletta, ex capellone giramondo, era il vero centro del paese e, ovviamente, la ribalta del commendator Manlio Scalco, abile narratore di storie, dalle cui labbra carnose pendevano tutti gli astanti. Inarrestabile nel teorizzare le cause più astruse dell’abnorme crescita del tallone sinistro del cuginastro.
Un suo cavallo di battaglia era la storia di una tal sora Ilizia, la levatrice intervenuta al momento della nascita di Achille. Raccontava il commendatore che avesse acchiappato, questo fu il termine esatto, il nascituro con il forcipe prendendolo proprio per il tallone sinistro. Nelle serate in cui aveva alzato un po’ il gomito, quando era maggiormente in vena di fantasie, aggiungeva che la levatrice fosse stata costretta a utilizzare il forcipe perché il neonato non voleva uscire dal grembo materno, al quale si aggrappava con entrambe le manine e che, una volta nato, tentò persino di strozzarla col cordone ombelicale.
Altre volte era solito raccontare del mancamento, forse per l’emozione della nascita, di una zia materna del cuginastro, tal zia Filira. Per un giramento di capo, pare che ella si sedette con tutto il suo elevato peso corporeo proprio sul piccolo talloncino d’Achille, che da allora fu affetto dal tallone del gigante Damiso, malattia riportata negli studi del dottor Chirone, il medico condotto. La zia Filira era di fianchi larghi e possenti, si dice schiacciasse le noci stringendole fra i glutei. “Una volta,” raccontava il commendatore, “un tizio mi confidò di averla vista frantumare, con le natiche, un ciottolo di fiume per svagarsi un po’, mentre lavava i panni al torrente.”
Fatto sta, che Achille più cresceva, più cresceva il suo tallone. E più cresceva il suo tallone, più in Achille cresceva un senso di frustrazione, a detta degli altri, immotivata. Era sempre nervoso, s’infuriava per un nonnulla. Non capiva quanto le persone vicine facessero per lui, per aiutarlo. Come i giochi in legno che gli costruiva il nonno, don Nereo detto il Nonnereo. Bellissimi, tutti i bimbi del paese li invidiavano e proprio non si riusciva a capire perché Achille fosse sempre agitato, quando il suo caro nonno, cieco come una talpa, amorevolmente li costruiva, levigando, segando e martellando proprio lì, accanto al suo benamato nipotino. Più vicino al suo tallone, che ad Achille, in verità.
Il culmine del nervosismo, Achille lo raggiunse quando il Nonnereo comprò il trapano elettrico. Il bambino si alterò come un cane rabbioso. In quattro non riuscirono a trattenerlo. “Ecco, osservate questa foto,” i presenti nel bar si disposero in cerchio attorno a Manlio Scalco. “Guardate, guardate le espressioni dell’ira stampate sul volto del ragazzo. Guardate l’ira d’Achille!” Nestore, il metronotte del paese, si avvicinò curioso al gruppetto di persone, chiese umilmente di poter osservare la foto, l’avvicinò agli occhi acquosi e pronunciò, “ma qual ira e ira… commendatò, a me me pare terrore!” Il padrone delle ferriere gli strappò la foto dalle dita ingiallite dal troppo fumo. “Io non capisco,” incalzò guardando di sbieco il vecchio guardiano, “non capisco proprio come era possibile…” colpendo con l’indice teso la foto, “come era possibile che il ragazzo non capisse… non capisse il bene che gli volevano i suoi cari,” disse ripetendo due volte i concetti più profondi del suo pensiero. “Non capisse il bene che gli volevano i suoi genitori quando decisero di trasferirlo nella dependance di famiglia, che il ragazzo, ingrato, si ostinava a chiamare porcile.” Alzando l’indice accusatore in alto, a sottolineare la gravità dell’insulso atteggiamento del cuginastro, “ma se i maiali li avevano spostati nella sua vecchia stanzetta? Perché, allora… il ragazzo si ostinava a non capire, a non capire?” E il commendatore, solitamente a questo punto della storia, si accasciava sul bancone, mentre gli altri avventori tentavano di rinquorarlo e Tony Zelletta gli versava da bere. Lo rinquorava a modo suo, con un presa di liquore, lo linquorava.
I genitori di Achille dicevano che il suo trasferimento nel porc… ehm, nella dependance di famiglia fu un atto dovuto, obbligato per la tranquillità e la comodità del ragazzo. La nuova dimora era un po’ strettina, anche se, per la verità, Achille c’entrava quasi tutto. Quasi, perché l’ormai smisurato tallone ne rimaneva fuori. All’addiaccio! Ed era pieno inverno. E lì nevicava forte. Anzi, ghiacciava. E la temperatura scendeva intorno ai diciotto gradi sotto zero. E durante le frequenti burrasche i fulmini si abbattevano sul bosco, attirati dagli enormi pini secolari grondanti gelida pioggia. Pini che rovinavano al suolo fragorosamente, spaccati nel cuore del tronco dalle saette. E più ne cascavano più la collina lì accanto, il monte Pelio, disboscato franava rovinosamente, trascinando a valle fiumi di fango e di detriti. E il porc… e dalle, la dependance di famiglia era situata proprio ai piedi del monte. Dove, spesso, i paesani vedevano aggirarsi, digrignando i lunghi denti a sciabola, un branco di lupi affamati dalla penuria di prede montane. Qualcuno, quell’anno tremendo, disse di aver intravisto persino un paio di orsi bruni inferociti.
In effetti, fu un inverno un po’ duretto per Achille. Soprattutto perché vedeva i suoi solo una volta alla settimana, quando andavano a portargli il pastò… ehm, il cibo. Questo fatto lo innervosiva moltissimo e non se ne capiva il motivo. Si agitava, sfrenesiava da dietro l’uscio, appena socchiuso. Guardava i suoi cari e soffriva per la loro mancanza durante tutta la settimana? Mah, di fatto si dimenava appena arrivava l’adorato Nonnereo, che parcheggiava il furgoncino proprio lì, vicino al sinistro tallone. Beh, si sapeva che il vecchio non fosse un asso del volante. Anzi, per la verità non era mai riuscito a prendersi la patente, forse il nipote era in pena per lui, che andasse rovinosamente a sbattere rischiando di farsi del male?
Quando, finalmente, venne la primavera l’acqua dei ghiacciai montani, sciolti per l’innalzarsi della temperatura, andarono a ingrossare il fiume Stige, che esondò inondando il porc… ancora, proprio non si riesce d’evitare il lapsus, la dependance di famiglia che fu letteralmente travolta. L’acqua, però, non proseguì a valle la sua corsa, ma si arrestò dinanzi al tallone d’Achille, che fece da diga. In un primo momento, il ragazzo fu benedetto dai suoi concittadini, ma dopo circa tre giorni, il livello dell’acqua era paurosamente salito, allagando tutta la parte alta della valle. Fu una catastrofe, quando Achille spostò il piede per grattarsi sotto il tallone. Centinaia di migliaia di litri d’acqua e fango si rovesciarono sul paese, inondando tutto e tutti. Ci furono molti feriti, oltre a decine di dispersi. In pratica mezza cittadinanza restò senza casa. Il Nonnereo accusò il nipote d’esser stato la causa dell’alluvione.
Quest’episodio aizzò la folla contro Achille, nonostante il metronotte Nestore andasse cianciando che il porc… e basta, la dependance il Nonnereo non avrebbe dovuto costruirla proprio nel letto del fiume Scamandro. Centinaia di persone, armate di forconi e badili, s’incamminarono verso il monte Pelio, con il nonno in testa. Il ragazzo venne, non senza difficoltà, accerchiato. Avevano tutti gli occhi iniettati di sangue, alcuni s’iniettavano dosi massicce di cocaina per farsi coraggio, più che altro per farsi e basta. Altri cominciarono a organizzare un rogo, ma nonostante si sforzassero di accatastare tronchi e rami, non riuscivano a coprire per intero il tallone d’Achille. Altri arrivarono con le ruspe, mentre a qualche centinaio di metri dalla linea del fronte si attestò l’artiglieria pesante. Essa, in un primo momento composta da una qualche decina di vecchi mortai, davvero terra terra, pare della Seconda guerra mondiale, dopo il vertice dei sette ministri della difesa del G7 più il Nonnereo, il G7 e mezzo, vennero sostituiti da venti lanciamissili terra aria di ultima generazione. L’aviazione scese in campo, sorvolando i cieli blu, con dieci F16 armati di missili a testata nucleare.
La folla, diventata oceanica, urlava inferocita terribili offese alla volta di Achille, tutte suggerite da suo nonno, a cui riusciva davvero facile inventare oscenità varie tutte in rima con tallone. Il culmine dell’odio nei confronti del ragazzo si ebbe quando tre aerei, pilotati da altrettanti giovani avieri, nell’impeto di mitragliare il sinistro tallone si scontrarono tra loro. Una tragedia! Il Nonnereo ebbe l’idea, nemmeno tanto originale, ma a detta di tutti decisamente geniale, di far schiacciare i talloni di dieci amici di Achille per ogni pilota abbattuto. L’iniziativa, però, naufragò miseramente per l’impossibilità di reperire trenta amici del ragazzo, che in realtà non ne aveva mai avuto uno. E nemmeno ci si poteva rifare sulla sua famiglia che, dall’inizio delle ostilità, si era subito schierata con la maggioranza per niente silenziosa.
Infatti, facevano un casino del diavolo. Intorno al campo di battaglia era nato un vero e proprio parco dei divertimenti. Bancarelle di torrone, tiro al segno, la casa degli orrori, la ruota panoramica da cui ammirare le manovre militari. Le televisioni di tutto il mondo riprendevano in diretta ventiquattro ore su ventiquattro, tenendo tutti gli abitanti della terra con il fiato sospeso. Twitter e Facebook impazzivano. Manifestazioni antitallone si organizzarono in ogni dove. Fu a questo punto che il governo in carica decise di adottare il pugno di ferro. Varò una legge speciale per abbattere il tallonismo d’Achille, termine coniato dal Nonnereo, suscitando l’approvazione di tutta la comunità mondiale. L’Onu decretò tre risoluzioni anti-tallone e indisse l’embargo anti-timodore, sostanza di cui Achille aveva un bisogno incessante per rinfrescarsi il tallone. Amnesty International protestò e indisse una marcia in commemorazione dei tre piloti morti nell’adempimento del proprio dovere. Il WWF proclamò la giornata mondiale per abbattere l’innalzamente del tallone, capace di provocare maree e, di conseguenza, devastanti tzunami in Oceania.
La situazione, nonostante tutto, per grazia di dio era sotto controllo. Achille era visibilmente in difficoltà, tallonato dal modo intero, ma fu in quel momento che il ragazzo perse la pazienza. Appena infastidito dalle azioni sino a quell’istante giustamente perpretate nei suoi confronti, compreso il lancio di bombe nucleari che devastarono l’intera zona rendendola, ormai, invivibile per secoli, appena un ragazzino gli tirò un sasso con la fionda perse inspiegabilmente la calma ed ebbe una reazione spropositata. Achille si aprì un varco a tallonate tra la folla terrorizzata. Sembrava uno di quei vecchi film giapponesi di mostri: Il ritorno del mostro Calcagno oppure Il tallone assassino!
Il ragazzo prese in ostaggio il Nonnereo, chiedendo di essere trasportato su un’isola deserta, in cui poter vivere in solitudine. Le autorità, vigliaccamente, accettarono. Alcuni dicono che bleffassero, facendo finta di assecondare Achille per poi gettarlo nell’Etna in piena eruzione. Altri dicono che effettivamente lo portarono su un’isola tutt’ora top secret.
Il Nonnereo, dopo che gli vennero conferite tutte le onorificenze possibili e immaginabili persino da un tipo ricco di fantasia, fondò il PACE, Partito Anti-Calcagno Europeo, con il quale si presentò alle successive elezioni europee stravincendole.
Di Achille non si seppe più nulla e a nessuno dispiacque, ma a me si, che non so come terminare questo racconto. Bah, vediamo che si dice in Internet… e che è successo qua? Fammi zoomare… uà, tzunami in Giappone, ignote le cause!
Homer Quantebello