Il poeta male detto
In questa pagina cadono come pere mature i frutti acerbi del caro poeta male detto e male letto ancorché male interpretato.
Peresie e altri frutti di stagioni perdute! ©©
3 luglio 1999
Era l’afa
che fasciava come serpe velenosa
i nostri lunghi colli d’airone nero
Era sera
che fermentava come caldo e ribollente mosto
sotto i nostri piedi d’argilla
Era il caos
che danzava come orango impazzito
nelle nostre menti bambine
Era l’ansia
che premeva e bussava con pugni d’acciaio
contro i nostri cuori di granita
Era l’ora
che ordinava d’iniziare il volo magico
radente sulle anime della gente
Era il fuoco
che bruciava come la voglia di vivere
le nostre facce libere di essere
Era la danza
che muoveva come molle flessuose
i nostri corpi di gomma pazza
Era il cerchio
tondo
perfetto
intriso di mani braccia fianchi e cosce
Era la corsa
sfrenata
felice
intuitivamente istintiva
Era l’abbraccio
con tutti,
fra tutti
di tutti
Era la vita
necessaria possibile.
Cyberflaneur
Anatomia di una rosa
Adunca dai petali caduchi
aritmici e convulsi
dal centro di carne confusa
contraente vita latente
Stami verticali in erezione
proiettati in alto
come mille piccoli falli
pronti a penetrare
tra ali di farfalla
Dispiega le ali del tuo cuore
piccolo fiore
e accogli il mio amore
tra i tuoi piccoli seni aguzzi.
Alfredo Barnelli
Care assenze
Visioni di vecchie foto dai bordi intonsi
figure sbiadite in penombre azzurrine
paesaggi trepidanti nella caligine estiva
colori evanescenti come molli gelatine
parvenze
sensazioni soffuse
aliti di vento tiepido
leggiadri svolazzi di argentee creature
odori sinuosi di corpi tremanti come amanti
suoni carezzevoli attutiti da un silenzio pieno di sé
e di me
e di te
ma…
tutto ciò non sembra
non può essere
non è altro
che ciò che resta di un amore finito
di cui adoro custodire l’inizio dorato.
Artura Vanesia
Chissà
Mi trovo quì
solo
tuffato in un foglio bianco
accecante riverbero
Riflessi di poesia scompongono
la mia mente
calcando la mano
sul mio cuore stanco di pulsare a ritmo jazz
Sincopata voglia di vivere
all’unisono
col tutto
perseguitato dal nulla
inorridito dal mezzo pieno e mezzo vuoto
zigzagando tra i multipli sé e i ma
sconvolto dai forse
atterrito dai mai
accecato dai sempre
desiderando un t’amo
preoccupato dal dirlo
mai sazio di farlo
in attesa di farla
la rivoluzione
Tutti insieme
ma dagli istinti distinti
Così sarà un giorno
o forse due
magari una vita
chissà?
Nel frattempo vivo.
Alf Brunelloni
Ciliege rosso sangue
Nostalgie affrante da reflui ricordi
del cadavere d’un passato ancora caldo
e troppo ingombrante per dimenticarlo
Tentativo vano e poco convinto di sotterrarlo
sotto un albero di ciliegio
con le foglie dalle punte spezzate
e frutti stillanti sangue d’un rosso cupo
Scuro come l’unica parte ancora pulsante del mio corpo
mentre il resto giace immobile
nella speranza di divenire immemore
ma avvinto da legami e nodi scorsoi
M’impicco la lingua al palato
nel tentativo di urlare mute frasi d’amore.
Umberto Boh
Collezione d’amore
La convinsi a salire su da me
con la scusa della collezione di farfalle
Appena aprii la porta di casa
volarono via tutte
Rimasi senza argomenti.
Già Como
Gli incantatori di serpenti
Ci ritroviamo lungo le mura di selce grigio perla
Inarchiamo dorsi come cavalli dal muso tumefatto
Litri di folle oceaniche salate come corallo rosso vivo
Ancora un altro viaggio è la parola d’ordine del nostro fantastico caos
Fuggiamo dal mattatoio per menti dementi
Lì, vogliono pettinarci il cervello
Quì, vogliamo insistere a volare
Chili di maionese impazzita ci riempe le tasche
Giochiamo sui trampoli come yo-yo rimbalzanti
Le nostre tempie di gomma dura smussano gli spigoli di grafite nera
Dalle nostre bocche megafono fuoriescono lingue contorsioniste
Siamo gli incantatori di serpenti
I vostri sibili sono le nostre scommesse.
Don Bachi di Seta
Mal di stomaco
Vomito inesorabile monta dal basso
verso la libertà di fuoriuscire
oltre la mia lingua
per gettarsi al suolo e insudiciare
lindi pavimenti inconsapevoli
Vomito che pretende che gli dedichi
i prossimi dieci minuti
e chissà quanti conati
e singulti
e colpi di tosse
che bussano al mio petto
squarciandomi il torace
A stento trattengo il respiro
per cercare di evitare
di riversare la mia anima indigesta
È tutta lì
sul mio stomaco
più di un odioso parente
più di un vicino indisponente
più di un amore indifferente
È lì e mi tormenta
sfottendomi
soffocando la mia voglia di vivere
È lei che decide di me
è lei che mi trascina dai miei amici d’infanzia:
Oblio
Nulla
e Vacuità.
Cyberflaneur
Party di me
Gli occhi lasciati sulla sua nuca
dimenticai il cervello sul cuscino
L’orecchio teso alle belle parole d’amore
un colpo di vento spazzò via i capelli
Il tempo perso su e giù per le scale
le ginocchia rotolarono giù in cantina
La lingua avvolta nella bocca di quella
persi la faccia giurando il falso
Le mani attaccate alla bottiglia
perché le gambe fuggirono via?
I piedi incamminati già da un pezzo
annegai l’anima in un bicchier d’acqua
I polmoni fumati su nel cielo blu
il culo lo persi a ramino
La schiena ancora sdraiata
accanto a chi?
E tu, verso sera, distrattamente ti chiesi
“mi è rimasto solo il cuore e il cazzo, cosa preferisci?”
Alfio Sardella
Solecaldo
Immobili speranze sospese
nel mio
nel tuo
alone vitale
vibranti innumerevoli
molecole d’amore fuso
come dolcissimo miele d’api folli
volanti in geo metriche
traettorie intrise di poetica
vitale e necessaria
Il volo dell’animale alato
già io salvato dalla spirale,
incommensurabilmente futa,
dalle tue indicibili carezze
mi porta a essere migliore
e affamato d’una vita possibile
ai limiti di pseudo-oniriche vicissitudini
ch’io percepivo come sogno,
ora realmente vissuto,
anteposto all’incubo onnipresente
cui sfuggivo con
incosciente logica incoerente
Fuso dal solecaldo
posto al centro del tuo cuore
trovo finalmente il giusto gusto
nell’innalzarmi in volo
non solo, ma con te
verso l’astro illuminante
le nostre menti frementi
ora possibilmente calme.
Flavio Sarnelli
Svanite evanescenze
Il vento erosse la mia faccia
scolpendola come fosse marmo
le cui schegge capitolarono giù nel precipizio
Svettai eludendo la mia paura solitaria
fingendomi capace d’esser vivo
Vivo?
Vissi, ma non più!
Ricablerei la mia mente storpia
monca non dell’assoluto
troppo vacua aspirazione
ma di te reale redenzione
del mio cuore degente d’ospedale
per gente dalla mente indigente
La follia della folla transumante
ingigantisce la cancrena al mio occhio sinistro
dallo sguardo bieco di sbieco
in bilico sul filo radente
della lama tagliente
le vene dai giudizi altrui
Come fiere dalle efferate gesta
indigeste mie membra straziate
saziate la fame di costoro
Io decoloro l’azzurro
col mio veicolo interstellare
la cui scia è tutto ciò che resta di me
Evanescente evanescenza.
Jack di Flanella
Il misfatto
Corro, come un folle corro
Senza motivo, senza rimpianti corro
Le mie gambe percuotono l’asfalto
nero, bruciante, sudicio
I miei polmoni stentano
però non smetto di correre
Il fiato è latitante, ma non mi fermo
Vado di corsa. Salto il fosso, evito l’ostacolo
mi precipito sulla scoscesa discesa
mi scapicollo, cado, rotolo in terra
mi rialzo e ancora corro
No, non mi fermo
Affronto la salita. La mia milza è come impazzita, ma non cedo
Ponti, strade, vicoli, piazze, distese di terra
sentieri, viadotti, strettoie, rotaie
autostrade, tunnel, passi di sconosciute montagne
saran le mie compagne d’un viaggio senza fine
almeno fin quando giungerò sul ciglio del burrone
Simile a quel burlone di me stesso
che si sempre fatto fesso
e che adesso è talmente profondo
che per colmarlo ci vorranno mille vite, ma non mie!
Dove le prenderò? A chi le rubero?
Se per caso non l’abbiate ancora capito
questo è un invito a fermarmi
bloccarmi, le gambe placcarmi
Sono come un giocatore di rugby
che va in meta nella propria porta
Come un ladro che deruba sé stesso
Come l’assassino di me stesso.
Luce d’Ombra
Futuri prodromi di madre guerra
L’uomo risorto è miope come una talpa
parla a vanvera e fruga nelle tasche dei cadaveri
Cadaveri ammonticchiati in pile vertiginose
dalle elettriche nauseanti contorsioni
Uccelli voraci rifanno il verso alla morte
che pianta pali di frassino nei cuori cupi
Ci scrutiamo l’un l’altro con sospetto aberrante
strabuzzando gli occhi rivolti al cielo nero
Orde fameliche di lupi ululano il loro odio
facciamo sesso nonostante il freddo
L’anima ci fuoriesce dal naso come sangue
rattrapprendo i nostri piedi di pietra
L’uomo risorto è alla resa dei conti
impara dal passato ma facilmente dimentica
Ricorda le carezze delle nostre madri ma dimentica
che ci hanno scaraventato in un mondo senza pace
Forse facciamo la guerra per vendicarci
della loro ostinazione a farci vivere.
Palin Sesto
Sono, quindi posso
Fuorvianti, esterrefatte possibilità vitali
scelte uniche e rare
ma incontrovertibilmente da prendere
Fallo!
Ora o mai più?
Compi il gesto
per quanto estremo ma…
affinché l’estremo divenga il centro
Il centro inspirante vita come fosse aria
benefica per i tuoi
i miei
i nostri emisferi cerebrali
gonfi come polmoni ansimanti
Per anni soffocati da rinunce e inibizioni
più o meno autocoercenti
infliggiamoci dolci gioie
puniamoci con brillanti intuizioni del sé
liberiamo le nostre meravigliose
potenzialità inespresse
Inattese e inaspettate ore intense
e calde
e aspre
e vigorose
e trionfali
e drammatiche
e sudice
e commoventi
e felici
e intraprendenti
e fondanti
ore e ore di vita.
Ludo Teca
Brum brum pot pot splash
Veicolo ripieno d’insaccati umani
sottovuoto spinto
arroventati arrovellati arravogliati
in lamiere deformate
e ben distanti dall’originale piatta linearità
Stilizzate piegate vinte da pesi eccessivi
di presse oleodinamiche per divenire
dinamiche oleoscatole motorizzate
Saettanti su cicatrici d’asfalto
sbattute un po’ qui e un po’ là comunque dovunque
sempre più intricate come dita abbarbicate a volanti
seppur rasoterra e dritto svolta sgomma frena
Alt!
Qui finisce la vostra corsa
siete fortunati
state volando
la strada e i suoi obblighi sono spariti
e voi veleggiate verso chissà quali lidi
Forse migliori
senz’altro diversi
di sicuro inaspettati
Siete fortunati in seconda
laggiù c’è il mare
è calmo
vi accoglierà con la sua modestia
anche se è immensamente grande
come la vostra voglia di vivere sprecata
Lungi Mirante
Estasia
Alveoli simili a stanze chiuse
da chiavistelli d’oro massiccio
Bussa con le tue nocche screziate dal vento
alla porta dell’inquilino pulsante rintanato nel mio torace
Macchina andante che un po’ si gonfia e un po’ si sgonfia
intrisa d’aria spesso compressa mai condizionata
Balbetto confusamente come se poi si potesse balbettare chiaramente
rivolgendo lo sguardo alla tua bocca urlante taciute frasi d’aiuto
Cosa posso fare per sconfiggere la tua testarda sofferenza
annichilente il tuo animo troppo poco sorridente
giacente in letto e lenzuola brucianti e t’impiccano i sogni
Alberi su alberi e fiori tra i fiori più cieli limpidi e tramonti di fuoco
e ridere vivere amare correre soavi percorsi felici
Una scatola ricolma di ciò un giorno ti porterò.
Asia Est
Occhi senza sbocchi
Punto il mio sguardo
dritto verso la luce del sole
che mi abbaglia e mi confonde
vincendo le mie retine
che bruciano all’istante
lasciandomi al buio
solo
triste
ma…
distratto da note soavi
di musica lontana
proveniente da terra lontana
suonata da genti di cultura lontana
Ritmo suono danze
clangore altisonante
man mano più forte
di giorno in giorno
di ora in ora
di minuto in minuto
di secondo in secondo
di attimo in attimo
sono qui
mi accerchiano
mi stringono
sale
sale
sale
il rumore m’assale
rimbomba il chiasso
fracasso
fracasso
fracasso
mi spingono
mi urtano mi toccano
sento il loro alito sul collo
le mani umide sul petto
le loro bocche
sulla mia bocca
che non riesce a star chiusa
Le loro lingue la violentano
come fessa stuprata
Mi apro in due
come cerniera lampo
e come tale saetto
illuminando il buio intorno a me
ora non più io
ma nemmeno con dio
quindi chissà dove
insieme a quelle lontane genti
ad accerchiare altrui vite
dagli occhi troppo poco perspicaci
Rox Anne
Impara l’arte di metterlo da parte
A Tore l’artista dicevo “non distrarti”
ma un dì perse tutt’e quattro gli arti
e, perdinci, campava d’arte
o meglio d’arti pittorie e scultorie
e di brutto si ritrovò senz’arte né parte
Tore lo scultore e, per’altro,
Tore il pittore ugual persona
secondo la vena artistica di Marte
senz’arti fu messo da parte
Seguirono giorni senz’arti o parti di essi
senza nemmeno poter ciondolare le braccia
né tanto meno tener le mani in mano
né tanto più girar i pollici per ingannar l’attesa
Non poteva giacché masturbarsi
e Tore prima dell’arte darsi
diceva “mastubarsi a morte per stimolarsi”
Almeno in parte, quella parte del cervello
più incline all’arte o a far dell’arte
la miglior carta da giocare ad arte
Dunque era il caso di ricapitolarti
“non è l’assenza d’arti che ti blocca l’arte
quanto l’impossibilità di masturbarti
quindi non stimolarti né eccitarti” gli dicevo
“nè darti all’arte con tutte le parti” ribatteva
A quel punto Tore mi chiamò in disparte
e mettendomelo in mano mi disse a parte
“Tò, vedi di dare una mano all’arte!”
Lintosta Tore
La indecisione estrema
Prendo un coltello e con cura
seziono la mia rotonda pancia.
Immergo le mani nella carne cruda
e dal rosso vivo di me stesso
ne estraggo budella a metri.
Sono lunghe quel tanto che mi occorre.
Mi alzo in piedi, raggiungo il tavolo,
vi salgo sopra poi… l’ammiro.
La trave dei miei desideri.
Del mio intestino, fra breve artefice del mio destino,
ne faccio un lazo che, in aria roteando e distribuendo
parti del mio essere interiore su indifese pareti,
poc’anzi candide come la mente del fanciullo primordiale,
aggancio alla lignea struttura.
Con dedizione, trattandosi della mia esecuzione,
stringo il nodo scorsoio attorno alla mia gola.
Ora: un passo in avanti e poi… dondolo!
Sospeso e sorpreso di aver fatto ciò che non va fatto
vacillo dalla mia decisione e opto per la vita,
ma è evidente che sia troppo tardi:
le forze mi abbandonano, il sonno mi piglia,
sento la morte che aleggia in giro con nero cipiglio,
nauseata per il singolare modo d’annientarsi.
“Bè, ho fatto proprio una gran bella cazzata!”
Le dico, “l’ultima però, addio,” mi ribadisce.
Joe Mortimer
Rito bruciante
Come vuoi tu.
Ci alzeremo all’alba
per correre insieme km inebriati
di elisir di “Voglia di vita”
famelica
eccessiva
destabilizzante.
All’istante
turbinii ormonali c’investono
svestendo i nostri desideri
di sottili intuiti dell’altrui pelle
nuda
misteriosa
per ora
alcuni minuti
qualche secondo ancora.
Già ti bacio mordendoti le labbra
ingoiandoti la lingua
sembrandoti cioccolata
liquefacente al reciproco contatto.
Fuoco intenso
riverbero scottante
incendio goloso.
Appicchiamo focolai ai nostri cuori!
Ci credo,
anche tu?
Cyberflaneur
Espedienti ciclotemporali
Viandanti solitari cupi e minacciosi
imperversano sottoforma di pensieri
nella mia mente brulla
come l’immagine che riporto della Tundra
né mai vista né mai udita né mai annusata
né mai toccata semmai toccarla
voglia dire stringerne
un pugno di terra sfuggente come sabbia
il cui unico obiettivo
è
trapassare della clessidra la vitrea strettoia.
Trapassato e presente io vivo
schiacciato come rampicante
schiacciato dal sasso
che proviene dal futuro,
ma tutto qui in questo momento
pregno di volontà evasiva
nel senso che è pronta a evadere
dalla prigione che l’imprigiona
tra sbarre di sé e di se e di ma,
però
cosa vuoi che ne sappia se (eccolo)
tu
non mi tendi nessuna
delle tue lunghe e affusolate mani ma (rieccolo)
semmai
sforzando ciascuno dei tuoi tendini
t’affretti ad allontanarti da me
col cuore colmo di
viandanti solitari cupi e minacciosi
imperversano sottoforma di rimpianti.
flà
Emboli
Vene e sangue
sangue e vene
Sono distratto e perdo linfa rossa vitale
dalle mie emostrade fitte come capillari
Anzi, proprio di essi si tratta,
ma non ne condivido né comprendo
la loro risoluta predisposizione a spaccarsi
come fragile carta di riso
imbevuta di “Fine voglia di vivere”
Basta! Non è il caso d’insistere
li lascerò fare come vogliono
Hanno preso il sopravvento su di me
mi gestiscono
tracciano a grandi linee
il mio destino nel mondo
beffardo
sarcastico
cieco
muto
sordo
Non sento
parlate a vanvera
Van Zina
Senza sotto titolo
Sostanze rabbiose giocano a mosca cieca
nel buio della mia mente
Fiocchi d’odio turbinano
tra le mie tempie vuote
Mi rendo ridicolo agli occhi del mondo
restando inerte dinanzi all’ennesimo rettangolo luminescente
L’immobilismo dei miei muscoli
rende rachitico il mio coraggio
La molle angoscia nella quale m’immergo
solletica appena neuroni appassiti
come fiori di campo estirpati da mani morenti
e sangue e fegato e cuore sparpagliato
Famelici cani assetati di vita altrui
s’aggirano fra strade di città in rovina
Case distrutte e sventrate e macerie su macerie
fanno di me l’effimero dio della tranquillità
Un mare di vomito si riversa sul mio stomaco
dalla scatola rilucente e irriverente
Alzo lo sguardo e vengo bombardato
da comode scintille digitali
che scoppiano sul mio viso
provocando pure sensazioni di terrore,
ma solo sensazioni calde e rintanate
fra coperte e cuscini e sguardi assonnati
Ho intravisto la guerra e ho riso
lasciando intravedere i miei denti assassini
Ho eretto barriere di false parole
dinanzi l’unica loro reale azione:
morire!
Elemento Molle
Lettera inerte
Ante di rovere duro e massiccio
mi si chiudono in faccia
Sangue rosso fuoco avvampa le mie narici
Le punte dei piedi si ritorcono all’indietro
cercando invano vie di fuga
Il mio petto ansima sul battente
crudele
deciso a non bussare
I miei occhi scrutano le venature del legno
impenetrabili
invulnerabili
al contrario della mia anima
sciatta e labile
in preda a convulse idee vanificatrici
Assolute sensazioni di dolore
pervadono ler mie cellule
impazzite
atterrite
Avvenimenti neoplastici hanno vinto su di me
spento
avvilito
Denudato tra la folla
incedo lentissimamente
ceracando di salvare la mia mente.
Che faccio?
Aspetto?
Chi e/o cosa?
Tiratemi fuori dalle ipotesi
e circonfondetemi di carezze/certezze.
Alcre Puscolo
Beauty Morte
Stamane la morte è venuta a bussare alla mia porta
nei panni di mia madre morta da bambina
M’invitava a giocare alla corda,
ma io ben sapevo
quanto in mano non avesse la corda,
ma una serpe velenosa contorta
e allora le sbarrai l’uscio
e mi ritrassi di due passi,
ma Ella alle mie spalle già m’alitava sul collo
Allorché le feci notare di quale fiato pesante avesse
probabilmente perché “hai mangiato cipolla?”
Ella ghignò su tutte le furie
tirando fuori i suoi denti marci
L’affrontai armato di spazzolino e dentifricio
che le riempì il teschio di candida schiuma
fuoriuscente dalle orbite come ira tracotante
Mandò vapore dal suo sudicio mantello
che ben pensai di candeggiare in lavatrice a 90°
Ne uscì bianco e lustro come non lo era da millenni
e recitai “ora sicuro che potrai presentarti
senza inorridire, ma tentando di far sorridere
coloro che già di loro dovranno morire.
E li volevi prima far crepare di paura?”
Nunzio Funebre
Tu contestualmente te
Tu per tu uguale te
algida creatura
Evanescente assenza
immemore presenza
Sobilli il mio desiderio d’averti
lo coccoli, mi convinci
poi quando mi vinci
prendi il mio cuore
lo smembri, lo sezioni lo svuoti
dell’interiore emozione
se… incontrarti per amarti?
Abile bambina di fatto
seppur non anagraficamente
giochi con la mia pazienza
capiente ma limitante
Dici d’amarmi, perciò fuggi
via lontano da me
Se decido d’evitarti
mi chiami invitandomi a guardarti
Cosa posso fare per liberarmi di te?
T’amo e t’odio contemporaneamente?
Ti cerco e t’evito simultaneamente?
Ti prendo e ti lascio parallelamente?
Ugualmente
comparativamente
analogamente
simmetricamente
similmente
uniformemente
conformemente
coerentemente
sinonimamente?
A. Finale
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