The Reading
Fintanto che i ghiacciai si sciolgono ©©
Titolo provvisorio “The reading”,
tendenzialmente comico surreale è una raccolta di racconti brevi, che si legge come un romanzo.
I singoli racconti sono intrecciati dalla trama delle movimentate vicende di un gruppo di amici scrittori, il gruppo Riutugut, che organizzano una serie di reading.
Alle serate di lettura partecipano, oltre ai protagonisti del racconto lungo, gli stessi personaggi dei vari racconti. Essi prendono vita diventando, a loro volta, protagonisti del racconto corale della città di Lipona.
Anagramma di Napoli, in “The reading” tutti i nomi propri, di città, dei luoghi, dei popoli, ma anche delle categorie sociali sono anagrammati o inventati di sana pianta. La polizia diventa la protezia e i poliziotti sono i proteziotti, i camorristi sono i sacrimorti emulati dai motomeloidi, i ragazzi di strada a bordo di scooter.
Il rispetto per i generi e i gusti sessuali, per le razze e l’orientamento religioso delle persone è uno degli argomenti centrali del libro, ma nelle storie in tanti sembrano dimenticare gli intenti dell’autore.
Lo stile è ritmico, i dialoghi brevi. Il genere è ironico con punte di satira sociale. Lo slang della città di Lipona è inventato, ma prende spunto dal dialetto napoletano.
Il libro è attuale, moderno, ricco di spunti innovativi, tragico e divertente, aderente alla realtà e ai suoi aspetti assurdi.
Tutti i racconti sono stati scritti nei sei anni di letture in pubblico da me organizzate mensilmente dal 2001 al 2007. Il manoscritto è stato integralmente riscritto dal 2008 al 2010 e rivisto più volte fino a oggi.
L’intero manoscritto è di circa 160 pp. in word formato A4, oppure di circa 360 pp. in pdf formato tascabile.
Io, l’autore, sono napoletano, di professione graphic designer. Dal passato di teatrante di strada con attori del Living Theater e gruppi autonomi. Ho organizzato reading per sei anni e co-diretto due associazioni culturali a Napoli. Ho praticato il buddhismo, faccio yoga e vado in bici. Attualmente pubblico alcuni miei scritti sul mio blog e in giro per la rete. Sono del 1964.
Sinossi
The Reading è una raccolta di racconti scritti durante i 6 anni di letture mensili da me organizzate. Un racconto lungo collega i vari racconti, i cui personaggi sono, a loro volta, gli autori/lettori al reading Riutugut. Nel libro tutti i nomi propri di persone e luoghi reali sono anagrammati, altri sono frutto di fantasia. I racconti sono scritti di mio pugno su una tastiera collegata via usb a un computer, a sua volta attaccato alla rete, quindi in contatto con il resto del mondo, seppur via cavo, a volte wireless (scrivo anche su un portatile). Insomma, le idee per i racconti me le hanno date direttamente i personaggi, io non ho fatto altro che buttarle giù, in maniera più o meno ordinata, con tante parole che compongono un bel po’ di frasi spesso di senso compiuto, altre meno, ma questo è perché sono fatti ognuno in modo diverso. E potevano pure mettersi d’accordo prima!
La struttura del libro è composta da un prologo, quindi una serie di racconti collegati tra loro dalla storia delle vicende del gruppo Riutugut, gli organizzatori dei reading di libera lettura, senza né scaletta né censura, infine da un epilogo. La storia portante è ambientata ai giorni nostri in una città del sud ailatino: Lipona. Una folla di personaggi/lettori/scrittori leggono i propri racconti, che fluttuano nel tempo e nello spazio e trattano di argomenti tra i più disparati, ma in linea di massima indagano sull’animo umano e le sue contraddizioni. Nel reading la realtà cittadina, in tutti i suoi aspetti comici, surreali e drammatici, entra con forza tracciandone il destino, irrimediabilmente legato a essa. Infatti, i racconti procedono tra le incursioni dei sacrimorti in preda all’ansia di leggere anch’essi, tra le critiche ossessive del minimalista quartetto dei cagatori, futuri membri delle fronde falsiste, tra il ritrovamento di volantini rivendicati dal noto gruppo terroristico M.A.C.O.M.E.M.A.I. (Movimento Anti Colti Omosessuali Meglio Essere Maschio Analfabeta Ignorante), tra la nascita del PLO (Partito dei Lavoratori dell’Ozio) nuova formazione apatica e apartitica, tra i proclami del portavoce del gruppo di liberazione Hafolla per l’autodeterminazione del popolo Hammamurìh contro l’occupazione illegittima dello stato di Yaggiastakkà e, soprattutto, alla luce della magnifica assenza del grande poeta male detto, per la difficile pronuncia, Arturo Srnvvffg,
Fra gli organizzatori dei Reading Riutugut si notano Alf e Mic Nera, reduci dagli spettacoli del regista aciremano Garty Treback del Kitchen Theater; la cefransé Mirna Ley, amante di Mic e insegnante madrelingua all’Istituto di Cultura transalpina; la piccola adorabile Mila Media detta Mila dagli occhi blu, appassionata di teatro e il suo ragazzo Teo Borr il cinefilo, detto l’uomo sulla soglia per non prendere mai una decisione; lo scrittore ambivalente Pippo Lo Pepe, palesemente innamorato di Mic; Pulp Pecora il fenomeno, desceto nato a Omocan con passaporto aciremano, ma di origini numere; Sasà Londre, angelo della musica, diavolo della parola cantata che si esprime solo cantando; il raffinato Al Cool, sempre con il solito bicchiere di whisky in mano; la giovane scommessa Ilo Rave, laureando all’Accademia di Belle Arti di Lipona; Lulla Ciciadori e Lori Balle Gracili, gemelle, ma di padre diverso e tanti altri.
I reading si svolgono al Bar H del seeseangel Ozi Muria e di sua moglie Eveline, al centro di Lipona, dove scorrazzano indisturbati i motomeloidi, ovvero “e’ uagliune e’ mieza a’ via”, i ragazzi di strada liponetani a cavallo di moto, senza casco ed emuli degli affiliati alla sacrimorte, la malavita organizzata che tiene in pugno l’intera città. La musica del cantante più richiesto ai matrimoni dei boss della sacrimorte, Carcaro Donte dei neocantaridi, genere musicale in voga nel quartiere Forcola di Lipona sud-est, è la colonna sonora che fa da sfondo ai reading. Nel frattempo, la protezia di stato, diretta dall’ispettore Best Seller e dal suo fido collaboratore, il Commissario Bianco Sarti, cercano con i pochi mezzi a loro disposizione di proteggere i cittadini dai prepotenti.
Il professor Girolamo Cerchiobotte, noto critico della famosa corrente letteraria dell’Inconsistenzialismo, il famoso scrittore Giò Bellano e i suoi soci in affari letterari inconsistenzialisti il baltoslavo Vladimir Skaisti Sēžamvieta, il neolatino Guillem Hermosas Natges, l’occitana Adrianne Belle Arrière e il britanno Johnny Lowback ringraziano tutti i personaggi del libro per avermi dato gli spunti necessari alla sua stesura e voi, che state leggendo queste righe, per la vostra grande pazienza.
Di seguito ci sono gli incipit o poco più dei vari racconti, compreso piccole parti del racconto portante. Il finale non ve lo dico, ma lo leggerete un giorno.
Buona lettura, Flavio Sarnelli
Chi va, chi va?
Prologo
Mic parlava a pochi centimetri dal volto di Mila, che lo guardava affascinata snocciolare le parole, una dopo l’altra come ciliegie rosse. Sul tavolino, due bicchieri colmi di liquido. Ambrato il primo, probabilmente rhum, rosso rubino l’altro, verosimilmente porto. L’aria era dolce, leggermente inebriata da un delicato venticello settembrino. Agli altri tavolini del bar la gente parlava piano, si sfiorava le mani, si carezzava con gli sguardi. L’acid jazz volava veloce, intenso, vibrante un’atmosfera serale serena, ma ricca di prospettive invitanti.
I due ragazzi brindavano alla serata da trascorrere insieme, facevano brevi progetti per decidere dove cenare, dopo quel tiepido aperitivo. Un luogo dove scaldare gli animi e rifocillarsi l’un dell’altra, per poi gettarsi nel fuoco di qualche locale, dove scatenare i propri corpi in attesa di…
Dritto negli occhi
Al quarto bicchiere, Sasà Londre cominciò a intonare Volare in chiave jazz. Con la voce faceva un paio di strumenti, nei quali riconoscevo il sax e la batteria, il charleston in particolare. Il ritmo era sincopato, accentuato dal battito delle mani sul libro che aveva davanti. Era molto bravo a fare quelle cose e noi ci divertivamo da matti. A un certo punto cominciò a svisare come una chitarra elettrica, la bocca si contorceva in cento smorfie. Il pezzo diventò l’inno aciremano di Jimi Hendrix… Nanana na nana, nanana na nana, oooiiiieeeeeiiiii gniiieeeooov gneeeo gneeeo… Fantastico. Restammo tutti a bocca aperta. Ne approfittammo per farci un altro giro di vino, tanto per non lasciarla vuota.
Mirna Ley fece manovra per uscire dal parcheggio e, sgommando, si lanciò all’inseguimento degli altri.
Il Bar H
Nell’abitacolo, Mila e Teo erano seduti davanti accanto a Mirna e si baciavano in continuazione, con un po’ di fastidio per lei, ma non per l’imbarazzo, in quanto alla cefransè non fregava minimamente del loro comportamento. I due avrebbero anche potuto fare sesso lì, sul sedile senza minimamente turbarla. Il problema era che non riusciva a inserire bene le marce. Il cambio era spesso urtato dal culo di Mila, che Mirna continuamente pizzicava per farglielo spostare. Per un pilota come lei avere i movimenti impacciati alla guida era snervante. Scarrettava veloce nelle vie delle ore pre-notturne, zigzagando fra le altre auto, tutte estremamente lente, al dire di Mirna, che imprecava come un camionista smarigliese. Nel seggiolino posteriore Mic e Pippo ormai si stavano baciando con allegria. Mic tradiva costantemente Mirna, ma fortunatamente lo faceva sempre alla luce del sole e gli altri non ci facevano più caso. Anzi, ci avevano fatto l’abitudine. Le bocche degli altri, per Mic, erano ormai come un’appendice alla sua, una continuazione di sé stesso. Ne era sempre attaccato a una, quando non era attaccato alla bottiglia o, per giunta, a qualcos’altro.
A noi altri venne spontaneo, contemporaneamente, in perfetta sintonia come solo ad amici di vecchia data può accadere, l’invito che urlammo in coro “chi va, chi va?”
Numero zero
nel senso che è terminato il conto alla rovescia!
Siamo giunti all’ora fatidica e il tempo stringe come una cappio intorno alla nostra vita. Già mangiamo e dormiamo poco, qualche volta andiamo a zonzo, qualche altra beviamo un goccio, altrimenti trascorriamo la maggior parte del nostro tempo a fischiettare, del tutto indifferenti, poggiati a un muro, perdendo e perdendo tempo con le mani in tasca. Ci guardiamo intorno poi, orfani di noi stessi, immancabilmente ci perdiamo di vista. È a questo punto che andiamo dall’ottico, ma sbagliamo indirizzo e ci infiliamo in una segheria, dove ci tagliano in due e ne usciamo come sdoppiati, ambigui, ambivalenti insomma: né carne né pesce, ma neanche verdura. Però diventiamo vegetariani, incolpiamo chi semina morte tra gli animali, poi alziamo il tiro puntandolo su chi gode dei frutti, e s’arricchisce sfruttando l’altra metà del cielo. Inquina e inquina le prove, ma la fa Franca. Una torta gustosissima, che mangeremo tutti leccandoci le dita, ringraziando dio che questa volta non sia toccata a noi.
I ragazzi si acquietarono voltandosi verso il palchetto, una pedana di circa tre metri per due, alta poco più di due spanne, con al centro uno sgabello, poco più avanti un leggio, un faretto proveniente dall’alto. Alf si umettò le labbra, lesse “bene, vi leggerò un mio racconto, s’intitola…”
Senza freni
Eccola, eccola, oh nooo… Il cuore comincia a battermi all’impazzata, come un tamburello percosso da un ragazzino suonato, o suonato da un ragazzino percosso dal ragazzino suonato. Non riesco a controllarne il ritmo. Tum-de-tum, tum-tum-de, tum-de-tum… com’è bella, ma che ansia, ogni volta a vederla. Mi piace da star male, vorrei parlarle, ma non me ho il coraggio. Spero sempre d’incontrarla, ma poi mi pento che ciò accada, perché non riesco a intervenire sui reciproci destini? Lei mi passa accanto, silenziosa, credo nemmeno si accorga della mia presenza. Basterebbe una scusa qualsiasi, per rompere il ghiaccio, che so? Quale formaggio vada meglio con i broccoli all’insalata, oppure quali cereali ben si accompagnano con lo yogurt greco. E invece? Niente! Le parole mi muoiono sulle labbra anzi, nemmeno nascono nella mia mente. Soltanto un turbinio di pensieri inutili e… la paura m’assale debellando ogni mia volontà.
Il ragazzo afferrò il microfono, vi tamburellò con le dita sopra, emise un paio di inutili “sa, sa” e si presentò “salve, mi chiamo Nao Gel, vi leggo il mio racconto, che s’intitola…”
Toh, ho smarrito il paltò
Non mi va di andare subito a casa di Giulia. Ho voglia di credere che al mondo vada tutto a gonfie vele. Burp, dovrò decidermi, una buona volta, a digerire ciò che ho mangiato oggi. Peperone imbottito di cavoletti di Rexbull. Che follia! Quasi, quasi, getto benzina sul fuoco facendomi un rhum, così da incendiare del tutto il mio stomaco. Eh si, me lo faccio proprio, questo bar mi si addice. Credo sia in sintonia con il mio umore, piuttosto color blu oltremare. Entro, il barman mi sfotte con lo sguardo. Lo evito alzandomi il bavero dell’impermeabile. Gli indico la marca di rhum che voglio. Lui fa finta di non capire. Getto un tappo di birra sulla bottiglia che desidero. Lui rimane impassibile, con un sorriso idiota stampato in faccia.
L’invitai a casa mia con la scusa della collezione di farfalle, ma appena aperta la porta volarono via tutte, rimasi senza argomenti. Da quel giorno invento storie, quella che sto per leggervi si chiama…”
L’ascensore
Entrai nell’androne scuro un po’ preoccupato per il mio appuntamento. Lo aspettavo da mesi, avrebbe cambiato la mia vita. Forse. Non c’era nessuno, chiamai l’ascensore. Dovetti pigiare un pulsante decisamente sporco, consumato, in parte bruciacchiato da qualche teppistello. Li odio, quei mocciosi arroganti, che insozzano qualunque cosa tocchino, e rompono, e disturbano. Li chiuderei tutti in galera e getterei la chiave. Anzi, ne farei un monumento a effigie dell’irreprensibilità della legge: che colpisca senza pietà i colpevoli di qualunque reato, infrazione, leggerezza. Basta con il disordine, l’anarchia. Io sono per l’ordine. La perfezione. La pulizia. Che la macchina ben oliata dello Stato permetta a ciascun ingranaggio di compiere il proprio dovere in santa pace. Cosa chiedo io, del resto?
Al microfono si avvicendò Sasà Londre. Si presentò “buonasera uagliù, je songo Sasà e mo’ ve canto na canzone.”
Gli scopi della vita
Me ne infischiavo. Con le mani in tasca e la sigaretta stretta tra i denti me ne andavo risoluto per la mia strada. Il vento mi carezzava i capelli, tentando di distrarmi baciandomi gli orecchi. Provavo una sensazione mista tra rabbia e dolore, ma non volevo commiserare me stesso. No! Questo proprio no. Non era il caso, che diamine. Lei non capiva niente. Nessuno capiva niente, e tanto meno ci capivo qualcosa io. Non era possibile, che le cose andassero davvero così male, proprio quando, qualche giorno prima, credevo di essere quasi felice. Felice?
Teo si presentò “salve, sono Teo Borr, e vorrei leggervi un mio racconto, ma non saprei quale leggervi, per cui chiedo a voi di lanciarmi un numero da uno a cinque, così sarete voi a decidere.”
Le ultime 48 ore. Erano 8 e tutti d’argento
Mirella, Mirella è la mia passione, ed è per lei che all’università frequento il corso di Storia del cinema. Mirella, dio… che ragazza. Quanto mi piace, con quegli occhi vivaci sempre in movimento, sempre in cerca di qualcosa d’interessante su cui concentrare la propria attenzione. Sempre pronta a carpire con lo sguardo l’ondeggiare di un fiore dall’esile gambo, un buffo gattino incerto sulle proprie zampette, bambini in corsa gioiosa all’uscita della scuola, ragazzine birichine intente a rimirarsi in una vetrina, sgignazzanti studenti del primo anno alla mensa della facoltà, barbuti colleghi di corso dall’aspetto un po’ bohemien, il professore del corso di storia del cinema dall’aria d’uomo vissuto ed esperto, il bidello… sempre in maschia tenuta con tanto di canottiera attillata al petto villoso, persino il parcheggiatore abusivo rozzo e burino che, quando lei gli porge la mancia, non manca mai di dirle con l’acquolina in bocca “signorina Mirella, cosa è che non vi farebbe io a voi.”
Dissero in coro “uè, uè, venito accà, ve leggimmo lu cunto che havo scritto stu bellu signore,” indicando il primo sacrimorte, che iniziò a leggere…
Stevo accamminanno pella strata quanno, all’intrasatto sott’uocchia impruvvisamenda bell’e buono non è succeduto propito niento. “Vuoi avvedere ca stace per succetero quarchiccosa?” penzai all’indentro de lu mio cervello poco accolturato ma una coltura io accapisco: quella delle molignane imbottunate ca’ comme sogno bone le molignane imbottunate manco lì papaccelle sotto acito sogno bone e maggio scordato chello ca stavo addicendo mamma mia che fiura di merda bella soda e approfumata.
Il Prof. Girolamo Cerchiobotte gli passò microfono e testo. Alf si schiarì la voce e iniziò a leggere…
“… nessuno disse: il sapore delle nuvole?
Jean un Peu de Retard
In collaborazione con il noto critico letterario Girolamo Cerchiobotte ospitiamo, al nostro reading, l’essenza dello storico, mai visto prima, movimento artistico che ha sconvolto il mondo della cultura.”
Inconsistenzialismo. Tra storia e attualità
di Girolamo Cerchiobotte
Movimento letterario/artistico nato il secolo scorso a Bains sur la Mer d’ennui, sotto la spinta teorico-evacuante del televisionario Jean un Peu de Retard, con l’emanazione, nella terza metà degli anni novanta, dell’essenziale Manifesto dell’Inconsistenzialismo Orto d’Osso. Mossi da ansie intestine prima ancora che estetiche, gli inconsistenziaslisti rifiutano la nozione di autonomia dell’arte – L’art pour l’art – e concepiscono l’attività artistica come mezzo per esprimere la reale liberazione del corpo: L’acte de l’art, l’art de l’acte.
Girolamo Cerchiobotte passò un altro testo ad Alf, che quasi si commuoveva per l’onore di cui era stato investito: leggere la biografia in vita del grande Giò Bellano, padre dell’Inconsistenzialismo.
Pagine indimenticabili
Gli Inconsistenzialisti senza né capo né coda, ma solo di corpo: indimenticabili biografie e scritti indimenticabili di un indimenticabile gruppo di artisti indimenticabili.
La recondita vita di Giò Bellano di Girolamo Cerchiobotte.
Tra Inconsistenzialismo e tagliaunghie.
Nato nel 1954 a Bonbontown, nelle Nazioni Unite d’Acirema, Giovanni Bellano, detto Giò, ebbe un’infanzia felice, ma particolarmente gaia. Era il primogenito di una famiglia benestante di origini ailatine, almeno da parte del padre Giacomo, agente di commercio per un’importante industria dolciaria. La famosa Gina dal Perù, nota per i sensuali bon bon alla panna montata, di cui i loro concittadini aciremani erano ghiotti. La madre di origini urses, Evelina Sederova, in Ailati fu una cantante lirica di discreto successo, col nome d’arte di Agostina Beldoroteo. La donna si esibì professionalmente fino a quando, con il marito e il caro figliolo, nato solo qualche tempo dopo, non si trasferisce in Acirema, dove effettivamente Giò fu messo al mondo… bah., nel nuovo mondo, per l’esattezza, dove ella continuò l’attività artistica, in un certo senso diventando insegnante di musica per fanciulle di buona famiglia.
Alf la guardava ammirato, “ma quando è entrata nel locale?” La donna rise sotto i baffi… beh, è un modo di dire, “sono sempre stata qui, a Lipona, intendo… adesso, se permetti ragazzo mio, vorrei leggere il racconto del mio caro fratellone, quel cattivone” e lanciò una risatina talmente stridula da farle sobbalzare il gozzo, facendola vacillare dai dieci centimetri di tacchi sui quali stava maldestramente appollaiata. Iniziò a leggere…
La psicocoppa
Quelle due persone camminavano uno di fianco all’altro e non si sopportavano proprio. Il primo disse al secondo “io non ti sopporto proprio perché tu nella testa hai troppa psicocoppa.”
“Non è vero” rispose il secondo, che aveva le mani in tasca e guardava fisso il pavimento.
Poi i due incontrarono una terza persona, che si mise a camminare insieme a loro e cominciò a sfottere il primo “tu, da quando ti sei sposato, non hai fatto altro che…”
La sorella di Giò, stringendosi i seni con le due mani a coppa, non se lo fece ripetere e, tirato fuori un volume dalla sua borsetta di pelle di pube di rana d’angora, ricominciò a leggere soffiandosi un ciuffo di capelli dal naso aquilino, uguale spiccicato a quello del fratello Giò.
Mamma mia
Mamma mia, gridavo come un pazzo, e poi stetti zitto. M’ammutolii, zitto senza aprire la bocca. Che poi mi puzzava il fiato perché avevo mangiato il fegato con le cipolle. È buono il fegato con le cipolle. Il fegato con le cipolle mi pare che si chiama il fegato alla padovana ah no, quelle sono le galline. Come è buono. Mi viene l’acquetta in bocca, quando ci penso. Quando all’improvviso bussò il telefono. Zompai dalla paura. Mi tremavano le ginocchia perché pensavo “e se poi è quello?” Quello mi fa una paura indiavolata. Mamma mia che paura…
A me il microfono” e l’ispettore Best Seller, con balzo felpato, saltò sul palchetto, dove Cristina Bellano gli passò il testimocrofono, lanciandogli uno sguardo ricco di concupiscenza. “Ehi, che sventola, bella di nome e di fatto, ma un bando alle ciance urge, testè vi leggo il mio racconto…”
Il doppione
Ero sdraiato sul letto, noncurante della luce filtrante dalle stecche della persiana. Si sa, verso mezzogiorno il sole impazza e cerca di fendere tutti gli spiragli. Che poi tali spiragli permettano alla luce invadente di saettare continuamente contro le mie palpebre chiuse, questo fa parte del gioco del restar a letto fino a tardi. Sonno? Stanchezza? Influenza? Apatia. Apatia e noia: miei carissimi amici d’infanzia.
Al Cool si fece avanti, si presentò e aggiunse “desidero leggervi tre proesie, cioè poesie in prosa, la prima è…”
Il ficcanaso
Mia madre diceva che io fossi un inguaribile ficcanaso.
Il mio appuntamento
A volte mi sento talmente solo,
che mi telefono e mi fisso un appuntamento.
Summer ‘64
Io ho cominciato a drogarmi all’età di meno 2 mesi,
cioè 2 mesi prima che nascessi!
Pulp Pecora, prima di cominciare il suo racconto, salutò brevemente, “salve, vi leggerò un mio racconto, ma distraetevi pure quanto vi pare, sono un tipo talmente colto che quando parlo non mi capisco io, figuriamoci voi.”
Affiche
Paolo era senza prospettive. In un vicolo cieco. E in questo vicolo cieco era debitamente con le spalle al muro. Sul capo gli pendeva, appesa a uno sciocco filo di spago sfilaccioso, dall’aria di mo’ mi spezzo, mo’ mi spezzo, una spada di un tipo con un nome che più scemo non poteva essere. Era un nome di origine careg, un’accozzaglia di lettere dal suono rivoltolante, che faceva: cle, cle, cle. Paolo alzava il capo e osservava la punta della spada, lì, dritta in mezzo agli occhi. Immobile, minacciosa. A scatti avanzante verso il basso a ogni fibra di spago spezzata, “ma perché il nostro non andava via?” Vi chiederete. Perché restava lì, alla mercé dei capricci di un destino dalla punta metallica? Perché era affisso al muro come un manifesto. Non l’avevate ancora capito? Eppure noto nel vostro sguardo dei, seppur rari, scintillii di brillante intelligenza, o siete solo degli estimatori del collirio Alfa-beta? Il collirio per distendere gli occhi dei lettori accaniti, ma torniamo al nostro alias dazebao.
Alf disse alle persone che fra un po’ ci sarebbe stato un piccolo party e si sarebbe suonato un po’ di jazz, ma prima volle leggere l’ultima cosa “nel frattempo che montano gli strumenti, vi leggo una poesia che dedico a Pulp, l’ho scritta l’altra notte, in uno dei suoi sogni.”
Tu sei pazzo,
ma non sei pazzo
perché sei affetto da pazzia,
sei pazzo perché ti ostini a fare il pazzo!
Ballare e ballare fino a notte fonda, fino a che l’amicizia, l’allegria, la voglia di raccontare non si confusero in un meraviglioso vociare di suoni e parole d’amore.
A casa di Pulp
Pulp abitava, tanto per fare un esempio, nel nocciolo della pesca. Cioè, nel cuore di Lipona. Nel posto più intrinsecamente intricato della città: aveva un monolocale in un palazzo fatiscente del centro storico, perché nel centro storico di Lipona, a differenza della maggioranza delle città d’Operua, lo stato di conservazione degli edifici fatisce, in quanto manca un serio ente che ne tuteli il patrimonio. Nessuna politica di restauro dei beni architettonici: degrado imperante, abusivismo dilagante.
Come il cervello di Pulp, che si ostinava a vivere in quel modo, come dire, così al di sopra delle righe, ma quando riusciva a scriverci dentro era un ottimo scrittore. Ci lesse una sua cosa, s’intitolava…
Pazzo d’amore
Prima di lasciarla,
con la scusa di farle fare un controllo alla vista…
“Un’altra, un’altra,” gridarono gli altri, nascondendo i bicchieri nei posti più strani, sperando che Pulp se ne dimenticasse. Stavolta lesse…
Party di me
Stamane ho lasciato gli occhi sulla faccia di una
dimenticando il cervello sul suo cuscino.
La bottiglia passò di mano in mano, i ragazzi bevevano e si guardavano negli occhi. Sasà Londre si mise a suonare un vaso di fiori, con la mano a coppa ne tirava fuori un suono basso e greve. Ci scappò anche qualche altra lacrima, oltre a quelle di Mirna. “Però l’attacchinaggio non te lo risparmi,” disse Alf, Mic sorrise con le labbra, ma con gli occhi non ne fu capace.
In giro ad attaccar locandine
La sera dell’otto il gruppo Riutugut al completo era per le strade del centro storico di Lipona per pubblicizzare il reading del quindici. Alf era riuscito anche a far stampare una ventina di poster, inoltre avevano anche uno striscione, che avrebbero piazzato in qualche punto strategico, il più visibile possibile. A Lipona l’affissione dei manifesti, locandine ecc. era selvaggia, nel senso che, oltre al fatto che fosse abusiva, non c’erano regole fra i vari gruppi, associazioni, locali e quant’altro. Tutti erano contro tutti e si faceva a chi copriva i manifesti degli altri. I ragazzi scelsero un’altra strategia, più complessa, ma di certo più vantaggiosa: scope telescopiche per affiggere in alto, molto in alto. La tecnica era stata già sperimentata da Alf e Mic, al tempo degli spettacoli con il Kitchen Theater contro la pena di morte nel mondo. A un certo punto della serata i ragazzi vennero accerchiati da una decina di motorini con due/tre persone a bordo ciascuno, ovviamente senza casco, com’era la regola dei uagliune e’ mieza a’ via, i ragazzi di strada liponetani. “Che stato facenno, vrangata e drogate e femminielli, me parito e’ pisci,” disse uno di loro, probabilmente il capo, con una voce gutturale. Sembrava si fosse ingoiato il naso, inoltre storceva la bocca come se volesse acchiappare la merda dei piccioni risucchiandola al volo mentre cascava dall’alto.
Intonò, battendosi le mani sulla cassa toracica a mo’ di tamburo, l’hit dei neocantaridi in voga nel quartiere di Forcola, nel sud-est di Lipona. Iniziò a cantare una canzone di Carcaro Donte, il cantante più richiesto ai matrimoni dei boss della sacrimorte. Vendeva migliaia di ciddì in città, anche perché era imposto con la forza nei migliori negozi di dischi, che così pagavano il puzzo mortale alla malavita. Sasà attaccò alla grande…
Faje ‘e scippi da matina a sera,
n’coppo o’ motorino da gilera,
Daje nu’ pacchero a mamma e t’arruobbo a’ borzetta,
e te siente propito nu’ figli‘e’ n’trocchia.
Daje na’ capata n’faccia puro a’ figlioletta,
e pa’ paura a’ faje sciogliere dint’e’ ginocchia.
Tu si l’orgoglio e’ stà città,
sie troppo bello maddamurimammà.
Reading numero uno
La sala del Bar H era strapiena. In città si era diffusa la voce che quello Riutugut fosse il reading più cazzuto di Lipona. Anzi, ne era giunta notizia anche in altre parti del paese ed erano arrivati in città singoli e gruppi di scrittori. Essi si leggevano sotto dalla voglia di salire sul palchetto a declamare le proprie opere. Alf poggiò sul leggio i suoi fogli, Mirna era dietro la videocamera, Mila, Pippo, Sasà e Teo erano seduti sparsi in sala per cogliere le impressioni del pubblico e stringere contatti con futuri lettori, oltre che per raccogliere il materiale per il numero due della fantazine, la fantastica fanzine Riutugut, mentre il numero uno, realizzato per l’occasione, veniva distribuito tra i presenti.
Sciarada Enigmi(Pessi)Mistica
È questo il tempo di smettere di ascoltare qualsiasi stronzata capiti nei pressi dei vostri orecchi (compreso queste parole) e aprire gli occhi sull’incredibile che sta accadendo intorno a noi. Niente di pretenzioso. Quì non si vuole insegnare nulla né far passare per verità assolute ulteriori bugie. Né tantomeno un ennesimo reading può cambiare la triste realtà in cui viviamo ma, almeno, offrire un punto di vista. Un punto di vista di un gruppo di miopi, che hanno smarrito o inavvertitamente rotto le proprie lenti, ma pur sempre un punto di vista, o meglio: di svista. Perché di svista colossale si tratta. La svista di un’umanità di non vedenti guidata da un manipolo di stravedenti, ricchi di diottrie spesso a ufo, pronti a venderci occhiali da sole per un sole che non vedremo mai!
Si accese il video astrale, nel quale comparve il comandante intergalattico Capitan Mic Nera, che da un’altura a picco sul mare pronunciò le prime parole del suo racconto sull’invasione degli alieni, ovvero il metodo in cui essi si sostituirono agli umani e l’annoso problema delle bici arrugginite.
Viaggio astrale dal pianeta Venereo
“Buona la prima? Tu, ehi… dico a te, quel ciak dove l’infili. Tieniti pronto, ne giriamo un’altra. Luci, microfoni, fuoco, vai col ciak.”
”Viaggio astrale dal pianeta Venereo dodicesima secondaaa. Ciak.”
“Vai con l’audio in presa diretta. Azioneee.”
“Oooh, oooh, oooh. Più su, più su, più giù, più giù, un po’ più di lato, due millimetri a destra poi sempre dritto per due centimetri, inversione a u, uuu… uuuuh, dai… ingrana la retromarciaaa…”
“Stoop!!! Ramira Bonilla dio, che gran pezzo di pornostar, ma che fa? Gode da sola? Dove diavolo è il pornodivo?”
Trafelato, giunse sul set il pornodivo ”eccomi, eccomi, ero in camerino per il trucco.”
“Alfredo, Alfredo Penazzi, sempre le solite scuse, ma cosa ti stavi truccando? E spalmami un po’ di fondotinta su sta’ testa di minchia, va…” aggiunse il regista toccandosi la patta dei pantaloni, ridendo come un matto.
“Andiamo… signor regista, un po’ di rispetto davanti alla troupe, per favore, in fondo in fondo… sono il pornodivo.”
Visto che è stato nominato il grande poeta male detto, perché di difficile pronuncia, Arturo Srnvvffg, purtroppo misteriosamente scomparso, vi leggerò un suo scritto pervenutoci via email ieri sera. Insomma, la mano sembra la sua, ma non ci giurerei.”
Arturo Srnvvffg è sparito
Arturo Srnvvffg è sparito. Nel nulla! E senza nemmeno scriverci due righe di suo pugno. A onor del vero, crediamo sia scappato perché ci doveva un sacco di soldi. Aveva una mano… quello lì: un po’ troppo tirata. Mano lesta e spendaccione dei soldi altrui. Mano lesta dalle mani bucate! Sì, fuggito per non metter mano alle tasche. Proprio un uomo della peggior risma. Con tutte le risme di carta che gli abbiamo comprato.
Si presentò “salve, sono il commissario Bianco Sarti. Siccome è stato citato il nome del grande poeta male detto, perché di difficile pronuncia, Arturo Srnvvffg, personaggio di cui, io e l’ispettore Best Seller qui presente, abbiamo seguito le rocambolesche vicende, vi leggerei un raccontino a lui dedicato.”
AAA Cercasi poeta maledetto
Salve, sono un poeta male detto! Non perché sia un cattivo soggetto, ma perché chiamandomi Arturo Srnvvffg tutti storpiano il mio cognome! Insomma, viene detto male, la gente lo farfuglia, non lo pronuncia mai a dovere e per me la cosa è di grande sconforto. Sob… a volte mi vien da piangere. Per questo mi sono dato alla poesia.
Già! Scrivo… scrivo nelle notti buie e tempestose, al riparo nella mia piccola stanzetta, giù in centro, ma non al riparo dalla mia piccola stanzetta, che mi soffoca, quasi mi prende alla gola tanto è piccola, ma proprio piccola piccola piccola.
Salì sul palco un tipo allampanato, scheletrico, bianco in volto. Si presentò “salve, mi chiamo Hector Plasma e vorrei leggervi la mia storia.” Un vento freddo vorticò lungo l’intero perimetro della sala. Il lettore cominciò il suo racconto…
Ti frantumo le nocche con lo schiaccianoci
A sedici anni già cantavo il blues da dio, ma mi esibivo ai matrimoni, uniche scritture procuratemi dal mio agente o pseudo tale. Acchiappavo solo mazzate sui denti dai neo mariti e loro parentela carnale o acquisita, perché gli standards di Waters e King li faceva vomitare.
Sono il signor Ennato.” Alf lo salutò e lo invitò a leggere qualcosa. “Certo,” disse Ennato e cominciò a farlo.
Fuori di testa
Tornato a casa deposi, come al solito, il mio cervello nella teca di vetro sul comodino, quando notai una sinistra macchia di unto sull’emisfero destro. Decisi di candeggiarlo nel lavabo del bagno. Cominciai a sciacquarlo, ma la macchia non veniva via. Pensai di usare del sapone: la mia mente diventò molto viscida. Tendenzialmente sfuggente da asciutta, da bagnata mi scappò letteralmente dalle mani. Schizzò roteando in aria verso il soffitto.
L’ispettore lo bloccò stringendogli il braccio muscoloso, si segga caro Sarti, si segga e ascolti con me cos’ha da leggere il signor Serra. Spesso gli scrittori, in un proprio racconto, svelano di sé molto più di quanto confesserebbero in un interrogatorio.”
Al di qua della realtà
“Negli ultimi tempi ho messo su uno o due chili di troppo” penso, mentre noto un rigonfiamento proprio al di sopra della cintola. Una sorta di palla da basket semifloscia, che non mi dona per niente, inghiottendo, famelica, l’ombelico. “Poverino!” È il caso di dirmi, ma non dispero. Una ridefinizione totale delle mie abitudini alimentari e tornerò snello come un figurino. Fine della bomba ripiena alla crema fagocitata ogni mattino, con contorno di biscottini e caffé a gogò, corretto, alla panna, macchiato, lungo, al peperoncino. Niente più panino farcito a pranzo, innaffiato da poderose quantità di qualunque bibita frizzi. Basta cioccolata durante il pomeriggio e almeno due o tre aperitivi con stuzzichini prima di cena. Cena… vera e propria orgia gastronomica: mia moglie non cucina mai, ma scova sempre negozi di cibi già pronti, leccornie a base di salse d’ogni specie e paese con paste ripiene d’ogni ben di dio, carni in intingoli grassi, ma da mangiare a quattro palmenti. Cose tipo: “Tagliatelle al sugo dei Cugini di campagna”, “Gnocchi in glassa allo Zucchero di canna”, “Panzarotti di patè di fegato d’usignolo alla bel canto di Pavarotti”, un concerto di sapori, ma uno sconcerto di calorie! “Sarà bene darci un taglio definitivo, ma perché mangio così tanto?” Mi chiedo senza ottenere risposta.
La mia vita va a pezzi, mentre tento invano di annodarmi la cravatta! Manco fosse solo un problema di soprappeso. Non faccio più l’amore con mia moglie da almeno sei settimane e sono nella media stagionale… i miei due figli, una femminuccia e un maschietto ormai adolescenti, non so che vita conducano. Magari hanno cambiato religione o addirittura sesso, senza che me ne sia accorto.
Sono amareggiato da pensieri del genere, armeggiando inutilmente con la cravatta dinanzi allo specchio, mordendomi l’interno del labbro inferiore per lo sconforto di dover trascorrere l’ennesima noiosa serata, senza il minimo imprevisto, con mia moglie e una coppia di suoi amici a dir poco idioti quando, improvvisamente, un colpo deciso contro le mie spalle indifese, da parte di un paio di mani ignote, mi spinge violentemente verso la vitrea superficie. Il riflesso della mia persona e di una porzione della stanza da letto mi si proietta velocemente contro.
Aveva una figura esile, leggermente elegante, ma in lui c’era qualcosa che non quadrava. Insomma, ecco… sembrava avesse una mazza ficcata su per il culo, che lo rendesse rigido nei movimenti. Cominciò a leggere il suo racconto.
Profondo tunnel
È proposta, a decorrere dal 15 dicembre e sino a nuova disposizione, l’offerta promozionale denominata: Il mercoledì di Trenilatini.
“Cazzo, mercoledì è domani! Posso approfittarne per andare a trovare Lucilla nella città dove lavora.”
L’iniziativa è rivolta a tutti i clienti viaggiatori del mercoledì sui treni Eurostella Fretta Grossa Zip e Intersiti Bluf, in partenza dalla stazione di salita “e dove sennò…” dalle ore 00,01 alle ore 23,59.
“È destino! Domani, mercoledì 15 dicembre, partirò per Cittàbella, ridente località adagiata tra le colline di Val di Puzzola.”
Al richiamo di “chi va, chi va?” salì sul palchetto Ilo Rave, lo scrittore ragazzino. Con uno scatto della testa si scosse un ciuffo di capelli dagli occhi, abbozzò un paio di sorrisini a un gruppo di amiche, bevve un sorso di birra, gli scappò un rutto nel microfono, che ne amplificò la portata per tutto il locale, cosa che lo fece avvampare di vergogna. Quindi, si apprestò a leggere, ma prima si presentò. “Salve, scusate… sono talmente timido che quando mi guardo allo specchio arrossisco perché c’è qualcuno che mi osserva, figuratevi qui ora,” disse. “Mi chiamo Ilo Rave e vi leggerò un mio racconto.” La gente sorrise. Dal tavolo dei cagatori, che fino ad allora erano restati in silenzio, si udì il loro richiamo preferito, però coniugato al futuro, “mi farà cagare, mi farà cagare…” giusto come invettiva a prescindere.
Jimmy 2, ovvero la difficoltà per uno scrittore di descrivere un uomo mediocre
Giacomo, dai conoscenti chiamato Jimmy tanto per ridere di lui, era una persona del tutto ordinaria, dall’aspetto banale, sospeso, come una tela d’artista incompiuta per negligenza. Per strada destava indifferenza a trecentoventi gradi, gli altri quaranta non glieli degnavano nemmeno. Era come trasparente: i passanti lo urtavano, quasi disturbati di trovarselo dinanzi ai piedi. Di tanto in tanto si fermava a guardare una vetrina, ma le altre persone gli si mettevano sempre davanti, impedendogli di ammirare abiti dai colori sgargianti che lui, in ogni caso, non avrebbe mai avuto il coraggio di acquistare né tanto meno di indossare.
La gente si ribellò, i volumi di un’intera libreria volarono all’indirizzo del quartetto, in particolare dizionari, per invitare i cagatori ad ampliare il proprio vocabolario, visto che ripetevano sempre la stessa frase, “ma leggi stò racconto di merda,” una voce si levò dalla folla. Il cagatore numero uno iniziò la lettura del racconto, accompagnato di controcanto dagli altri tre…
Il tuo bidet, tuo bidet, bidet ecc.
Avevi caldo, tanto caldo. L’afa ti si attaccava alla pelle come carta moschicida. Non sapevi che fare. Il ventilatore a pale, appeso al soffitto, si sforzava di fare del suo meglio, ma l’aria stagnava nella stanza le cui umide pareti ti si stringevano alla gola. Sembrava che respirassero, ora gonfiandosi d’aria calda, ora alitandoti contro come un fiato molle, crudelmente soffocante.
Nel frattempo, sul palchetto era salito Teo Borr, che dopo essersi presentato disse “beh, nel frattempo di cominciare a leggervi il racconto che avevo pensato di farvi ascoltare, ve ne leggerò un altro. Tagliando a corto: non vorrei che, dilungandomi, qualcuno nel frattempo si sentisse in diritto di farmi pressione nel dover prendere le mie decisioni.” Dal fondo della sala echeggiò “e ti vuoi decidere, nel frattempo ci viene l’abbiocco.”
“Ecco,” disse Teo.
Nel frattempo…
“Bene, nel frattempo che aspettiamo Arturo che ritorni con le pizze, cosa facciamo?” Chiedeva Fabio lisciandosi i baffi “beh, potremmo metter su un po’ di musica e fare due salti, tanto per ingannare l’attesa e la fame, che non mi dà tregua. Non mangio da ieri a pranzo,” proponeva Marcella carezzandosi la pelle della pancia, lasciata in bella mostra da un attillatissimo corpetto, davvero troppo corto per evitare, da parte dei maschi presenti, occhiate irrorate da desiderio piccante, ma da tutti condito con ottimo savoir faire. Da tutti tranne Gustavo. Ossessionato dalle curve di Marcella, non le toglieva un attimo gli occhi da dosso, continuando a fissarla in silenzio. Lì, sprofondato in poltrona, proprio di fronte al divano dove la ragazza sedeva a gambe incrociate. Ella faceva finta di nulla, ma sentiva quello sguardo umido scivolarle sulla pelle, come una mano sudaticcia e appiccicosa.
Era tempo che Al leggesse qualcos’altro di suo. Si apprestò a salire sul palchetto. Depose il bicchiere di whisky su una cassa, si presentò e iniziò il suo racconto.
Stai bene? Si, ma dove sei? Sto da dio
Ambiente: divano di casa mia.
Personaggi: 1) Io. 2) La mia coscienza.
Non capirò mai Adamo ed Eva. Stavamo tutti in paradiso e, senza muovere un dito, avevamo cibo, acqua, luce e gas: praticamente stavamo da dio!
“Questa è vecchia, lo so, infatti è da quando l’uomo creò Dio a sua immagine e somiglianza che circola questa battuta idiota,” disse Al Cool e continuò a leggere.
Del telefono non avevamo bisogno, essendo solo in pochi e tutti a portata di voce. L’eden non era, poi, chissà quanto grande, insomma… poco più di un cinema multisala.
Pulp Pecora agganciò il microfono all’asta e cominciò a parlare, “cari amici, la ventola del mio computer non funziona più e mi è uscito un racconto un po’ bollito. Acc, i fogli scottano ancora. Proverò a leggervi stò stracotto, va…”
Racconto del pulp affogato
Conoscevo un tale chiamato da tal’uni Morbo e, siccome il suo nome di battesimo era Bill, da tal’altri Morbill.
A dirla tutta, delle chiazze rosse sparse su gran parte del corpo le aveva per davvero, ma a parte alcune pustole ripiene al gusto di pus giallo-verderame, appuntate intorno alla bocca e sul naso, passava quasi inosservato.
Alf balzò sul palchetto e annunciò l’imminente festa. Sasà Londre, Al Cool, Teo Borr e Mirna Ley cominciarono a sistemare gli strumenti. Quella sera si sarebbe suonato acid jazz, tutto volgeva al meglio, ma prima di dare l’arrivederci al prossimo reading, Alf volle leggere un comunicato del C.E.S.S.A.
Comitato Esacerbante lo Sconto (di pena, insignificante per i colpevoli, ma imbarazzante per gli innocenti) per la Segregazione di Arturo
Il grande poeta male detto, perché di difficile pronuncia, Arturo Srnvvffg è vilmente segregato dal potere infame. Diciamo basta a questa ingiustizia: Arturo Srnvvffg è stato arrestato per aver maldestramente versato un cono gelato sulla divisa di un guardingo metropolitano, mentre questi tentava di appioppargli una iniqua multa per tentate molestie a una suora.
Reading numero due
Alf andò al bar, nonostante la ressa, per bere un goccio prima dell’ennesima maratona di letture. Questa volta c’era il panico. Il locale era strapieno e per fortuna c’era il divieto di fumare, altrimenti l’aria sarebbe diventata irrespirabile. Ovviamente il consumo di tutte le altre sostanze inodori era fuori controllo, Alf si affidava al buon senso dei presenti. Ne parlò con Ozi Muria, che gli offerse il solito bicchiere di rhum. “Mio buon amico Ozi, stasera abbiamo un pubblico di tutto rispetto e di varia appartenenza sociale, ma proprio nelle persone insospettabili il vizio attecchisce massiccio.”
L’unica persona che aveva il permesso di andarvi, di tanto in tanto, era Mic Nera: bisbigliò, spostò oggetti, ma dietro la tenda c’era ancora il buio. In uno di questi andirivieni sussurrò parole incomprensibili, avendo in risposta grugniti altrettanto ermetici.
Il reading iniziò con le rituali raccomandazioni di Alf
Avrei dovuto imparare il discorso a memoria, ma poi ho ceduto, anche stavolta, alla pigrizia mentale che mi caratterizza. Mi rendo conto che la mia difficoltà nel parlare a braccio è inversamente proporzionale alla mia abilità nel dilungarmi a scrivere, tra l’altro proprio con il braccio o, meglio, con la mano attaccata a esso.
Mic Nera: “signore e signori, il grande poeta male detto, perché di difficile pronuncia, Arturo Srnvvffg è sparito, ma ci ha lasciato una missione: diffondere gli ideali di una nuova formazione politica. Il Partito dei Lavoratori dell’Ozio, il PLO. Beh, non ci resta altro che continuare il reading, ma senza fretta, neh!”
Manifesto del Partito dei Lavoratori dell’Ozio
Il partito dei Lavoratori dell’Ozio è nato. Lunga vita all’inerzia. Avanziamo pigri con in mente un sol destino: poltrire. Fuggiam, fuggiam, dal lavoro e dalla fatica noi scappiam. Meglio morti che andare a lavorare, naturalmente morti di sonno. Il letto è la nostra piazza, il cuscino il nostro mezzo, ciondolare il nostro credo.
Dopo tutto quel casino, Alf risalì sul palchetto e lanciò il consueto invito. “Chi va, chi va?” Piroettò su sé stesso e disse, “io, un lettore di nome Alf.” Cominciò a leggere un racconto.
Una fila sbagliata
Beep, beep, beep la sveglia cominciò, anche quella mattina, per l’ennesima mattina ormai da innumerevoli anni, a svolgere il lavoro per il quale l’avevo acquistata. Beep, beep, beep, l’assillo avrebbe dovuto svegliarmi di soprassalto, ma io, dal sonno pesante come un macigno, ormai l’integravo per svariati minuti agli ultimi scampoli di sogno, che mi restavano di sognare. Si, prima di ridestarmi del tutto e convincermi, forse, che fosse proprio il caso di darmi una mossa, se volevo tenermi stretto il mio, seppur striminzito, lavoro. D’altronde, unica mia fonte di reddito, beh… fonte: piuttosto una fontanella, direi.
Questa volta, il beep, beep beep era la voce di una giovane donna dal collo di giraffa, che io tentavo di baciare mentre le strizzavo i capezzoli con le dita. L’onirica situazione, esplicitamente erotica, connessa al beep, beep, beep sempre più dirompente, mi gettava in uno stato di disillusione totale.
Alf invitò il prossimo lettore e, con sua sorpresa, si presentò Ozi Muria. Si era cimentato a scrivere un racconto nei giorni precedenti, disse, stimolato dai reading nel suo bar. Si presentò, anche se tutti lo conoscevano bene, ormai era un pilastro della vita del centro storico, e iniziò la lettura.
Venerdì sera
È venerdì sera, posso permettermi di scendere giù al Devil, l’indomani è sabato e quindi non lavoro. Odio andare a lavorare con una notte di bagordi sulle spalle. Il mio è un lavoro sedentario. Dieci, a volte dodici ore filate dinanzi al computer (apro una parentesi: devo ringraziare l’ultima contrattazione per i lavoratori a tempo determinato. Meglio quando svolgevo la libera professione del libero disoccupato, ma a trent’anni mi sembrava un po’ inopportuno insistere in quella, per alcuni angosciante, per altri, me compreso, comoda situazione. Insomma, non sono stato costretto dalla fame a trovarmi un impiego stabile, mi arrangiavo benissimo con i miei lavori saltuari guadagnando anche di più. Attualmente becco 1200 miseri euro al mese e non ho nemmeno un po’ di tempo libero, ma almeno mamma è contenta, ho un impiego stabile, seppur con il contatore.)
Mirna Ley grugnì qualcosa in slang parigino e si applicò alla ripresa della lettrice, indirizzandole con i suoi occhioni blu sguardi affilati come coltelli.
Pia Illusione iniziò il suo racconto.
Diversivi
Era un’estate di qualche anno fa, a… faceva un caldo tale da bruciare anche i pensieri.
Eravamo stretti l’uno contro l’altra, rannicchiati e ansanti, ebbri della partita a due appena giocata. Ci guardavamo negli occhi. Fissi. Ignorando lo squallore della stanza d’albergo, che segretamente ci ospitava. Tutte uguali le camere di certi hotel, in cui coppie spaiate fanno finta, o ci credono davvero, di ritrovare un amore altrimenti smarrito tra gli ingranaggi della routine quotidiana.
Pia Illusione si rese conto d’aver perso la mano, ma in cuor suo sapeva di avere ancora un tiro di dadi da lanciare. Scese dal palchetto roteando la lunga gonna e s’avviò verso il bancone. Mirna, padrone della scena, si presentò e cominciò il suo racconto.
Onde sonore un po’ sorde
Onde lambiscono le nostre cosce intrecciate, avvinghiate, fuse in un’unica coda di sirena. Con quattro mani, due teste, due nasi, ma una sola bocca, con le lingue impastate come un involtino primavera ripieno di promesse. Di quelle che si fanno a iosa in momenti come questo. Al proprio partner di turno, all’uomo o alla donna del momento. “Ti amerò per sempre. Sei la donna della mia vita. Non ci separeremo mai. Voglio vivere per sempre con te. Sarò tua tutta la vita.”
Cazzo! Ancora la stessa storia, ma la interpretiamo sempre e di nuovo, come un eterno deja vu.
Mic aveva un modo molto teatrale di leggere le sue cose. E per forza, faceva l’attore. Accompagnava le parole con gesti e movimenti del corpo, tali da far vivere nello spettatore le emozioni che raccontava. Si presentò e cominciò a leggere descrivendo la scena con abili ammiccamenti ed eloquenti colpi di bacino.
Prova d’amore
Notai un sorrisetto malizioso incurvarle gli angoli della splendida bocca, “cosa vuoi dirmi, tesoro?” Le chiesi. “Nulla d’importante, amore” mi rispose.
“Dai, dai, dimmi, lo sai che per te farei tutto. Ogni tuo desiderio per me è un ordine. Io ti amo immensamente e…“
“Ok, ok, se proprio insisti, un piccolo desiderio lo avrei.”
“Avanti, sono tutt’orecchi. Parla gioia mia, amore della mia vita.”
“Beh, vedi…
ti ricordi quando l’altra sera, cos’era? Giovedì?”
“Si, giovedì, a proposito di che?”
“Ma se non sai nemmeno a quale sera mi riferisca.”
“Lo sai che per te inventerei la realtà, amore mio, racconta.”
“Quando siamo andati a vedere quel film con Josè Verga Negra, come s’intitolava, La bestia? Non ricordo, mah… comunque, sai quanto quell’attore mi piaccia, insomma… mi fa impazzire, ecco.”
Lo conosceva bene ed aveva notato il via vai nel cesso mentre Mirna leggeva il proprio racconto. La cosa non gli era piaciuta per niente.
Sul palchetto, Al Cool si presentò poggiando i fogli sul leggio. Si schiarì la voce e iniziò a leggere.
Rispondi di me
Tutta la fatica spesa per conquistare la tua fiducia
e tu dubiti continuamente di me.
Sul palchetto acconciò i fogli sul leggio, si presentò, anche se non ce n’era bisogno, lo conoscevano tutti e annunciò che quella sera stessa, con speciale deroga dei genitori per l’ora tarda, i ragazzi un po’ più grandi del coro da lui diretto avrebbero tenuto un concerto gospel. Un’ovazione del pubblico accolse le sue parole, On Liù sorseggiò un goccio di vin divino, si schiarì la voce e cominciò a leggere il suo racconto.
Sto da dio! 2
Sottotitolo: in Paradiso si può solo attendere.
Personaggi e interpreti: Adamo ed Eva nella parte di sé stessi. Guest star Dio. Partecipazione straordinaria di quel diavolo di un serpentello che risponde al nome di… al nome… mmmh… non ricordo, quindi lo chiameremo Sir, inteso per signore, Penthotal, inteso per sostanza che ottenebra la mente impedendo di mentire: Sir Penthotal, il serpente della verità.
Ambientazione: l’Eden, ma non si proietta alcun film.
Al mattino l’Eden era proprio un paradiso. Stormi di uccelli starnazzanti spiccavano il volo in ripetuti batter d’ali, aritmici come battiti di cuore bradicardico.
Pulp Pecora prese posto sul palchetto, avrebbe, come al solito, concluso la serata. Si presentò e disse “scrivere è come masturbarsi la vita.” Cominciò a leggere il proprio racconto.
Lo zio aciremano di tutti i racconti
Il volume della musica riempiva tutta la mia stanza, al punto tale che ogni angolo ne fu occupato e mi toccò uscire. In cucina mi preparai un mix di frutta, latte e verdure al frullatore, sostanza multicolore che ingollai subito, senza avere il coraggio di chiedermi quale sapore avesse.
Alf li guardò uno per uno e disse “ragazzi, siete tutti pronti? Stasera c’è un casino di gente, ci sono anche i giornalisti. Dimostriamo a tutti il nostro dissenso per questa legge iniqua.” Gli altri si strinsero in cerchio intorno a lui. “Si, facciamo saltare tutto,” disse Mila. “Facciamo quello che sappiamo fare meglio,” aggiunse Mic. “È giunto il momento di decidere,” disse ancora Teo. “Facciamogliela vedere,” ribadì Mirna. “Accedimmoli e’ mazzateee,” cantò Sasà. “Mandiamo la locomotiva contro al treno dei signori,” asserì Pippo. “Creiamo il caos,” disse infine Pulp modellando un raggio di luce a forma di torre di Babele lì lì per crollare. I ragazzi unirono le mani al centro e sibilarono uno “merda, merda, merda” cruciale. Si calarono i sacchetti di carta sulla testa e uscirono tutti di lato alla quinta sparpagliandosi per la piazza, tranne Alf, che andò al microfono per leggere la presentazione.
Dichiarazione liberatoria
Salve, scusateci per quest’atmosfera da clandestini, ma ciò è inevitabile. Innanzitutto devo chiedere se in sala siano presenti proteziotti, coraggieri, guardie o gendarmi perché, se sono qui, sono pregati di tapparsi un attimo gli orecchi con le mani o approfittare per andare in bagno o a fumare una sigaretta lontano dalla piazza.
A circa metà serata, metà che conosco solo io, faremo una pausa per conoscerci intimamente e sviluppare amicizie fraterne e sorerne, nonché mangiare e bere e fumare e un altro paio di cosette a vostra scelta.
Chi va, chi va? Io, un lettore per caso, Alf.
L’insolubile caso dell’ispettore Best Seller
Quel giorno, l’ispettore Best Seller non si era svegliato alla solita ora, le otto del mattino, ora su cui puntava la sveglia tutte le benedette sere prima di addormentarsi, perché, durante la notte, di soppiatto qualcuno si era introdotto nel suo appartamento e l’aveva spenta. “Uno strano mistero, che più tardi dovrò risolvere” pensò, mentre si scapicollava verso la toilette per radersi una barba lunga di tre giorni e proiettarsi nel mondo reale.
Teo Borr sistemò il foglio sul leggio e si accinse a leggerne il contenuto.
Il grande poeta Arturo Srnvvffg verrà ignobilmente rapito!
Il grande poeta male detto, perché di difficile pronuncia, Arturo Srnvvffg verrà ignobilmente rapito da un gruppo di seducenti rapitenti, apofantici tribuni, nel senso di politicanti che ostentano pose demagogiche, dalla legge crudele e affilata come il rasoio che sgozzò Marat nella sua a-dorata vasca da bagno.
Dopo quest’ultima ode, che fu il giusto sugello alla sua esperienza di lettore, Tore l’Interrutore ritornò al suo posto, lasciando il microfono a Nao, che finalmente potè leggere il proprio racconto.
I quattro cardini, ma non nel senso di piccoli cardi
Mah, pensai. Chissà? Non so. Forse… beh, insomma, dovevo stare calmo. Ormai ho perso tutto, ma tutto cosa? La vita? I soldi? La fama? L’amore? Sono in fin di vita, al verde, sconosciuto e vergine.
I quattro cardini dell’esistenza: inesistenti! Almeno per me.
Al microfono tentennò, come se aspettasse il via da qualcuno. Poi, siccome tutti aspettavano una sua mossa, si decise a presentarsi, “sal-ve, mi chia-mo Norma di Legge,” disse timidamente “e vorrei leggervi un mio racconto.
Ogni riferimento a fatti e personaggi creduti realmente esistenti è puramente causale.
Parti da dio!
“Signore, gli embrioni sono pronti per essere criocongelati, tranne uno che porremo a dimora nell’utero della Prescelta.”
“Bene, mio caro. Sempre il solito efficiente. Ora non resta che annunziare alla fanciulla la buona novella.”
Alf lo guardò felice, “certo, quando vuoi. La lettura è aperta a tutti.” Il ragazzo ringraziò e Gennaro Pagliarella disse “volevo dicere doie parulelle incoppo a stù scritto c’avimma alleggere. Se tratta de nu’ fatto ca overamente è succieso a me e allo stesso tiempo puro allu figlio mio. Sentito nu’ poco, attacca compa’.” Alf cominciò a leggere la sua parte…
Il 48
Era una giornata cominciata male e verso le 14,30 stava procedendo anche peggio. Mi attendeva una casa, la mia, vuota, che al pari del mio stomaco, anch’esso vuoto, dava il giusto senso della mia effimera vita.
Attendevo l’autobus già da trenta minuti o appena da trenta minuti, per la regola degli orari della mia città. Facevo su e giù per il marciapiede. Avevo imparato a memoria tutte le macchie del lastricato, potevo quasi chiamarle per nome. I manifesti elettorali tappezzavano i muri come un unico parato kitsch. Mi urlavano perversi messaggi del tipo: Vota Angelo Postiglione, l’Angelo che veglierà per sempre sulle vostre vite; oppure Vota il Sacco, l’amministratore che non beccheranno mai con le mani nel sacco e ancora, Per la tua preferenza scegli Benedetto Caimano, dove la fiducia ti dà la mano. “Chissà se te la restituisce” mi venne da pensare in preda a conati di vomito stimolati dalla fantasia perversa di venduti copywriter, redattori di tale sagra dello slogan marchettaro.
“Scusi, allora posso?” Alf gli cedette il posto e il barista si presentò, “buonasera a tutti. Mi chiamo Bruno Gallo, gli amici mi chiamano Brugal, per fare prima. Sono un genatrino nipote d’immigrati ailatini. Mi trovo nel vostro paese perché la storia si rivolta su sé stessa. Qui in Ailati sto passando quello che i miei nonni passarono in acirema latina. Il punto è che tocca sempre alla mia famiglia, evidentemente sbagliamo i tempi: o ci muoviamo troppo in anticipo o troppo in ritardo. Comunque volevo leggervi un mio racconto. Tratta del mio lavoro precedente, il garzone di salumiere.” Si legò i lunghi capelli nero corvino da indio e cominciò a leggere.
Dissapori insapori
Come ogni giorno, all’ora di pranzo, una goccia di sudore denso e dal colore perlaceo sgorgava sulla destra della mia fronte, in prossimità dell’attaccatura dei capelli. Scendeva lenta e inesorabile rigandomi dapprima la tempia, poi la guancia. Io la sentivo camminare come una mosca dalle zampe attaccaticce, ma la lasciavo fare, anche perché scandiva lentamente il tempo. Circa tre o quattro minuti prima dell’ora fatale, per poi cascare puntualmente sulla tastiera del computer, più o meno in prossimità della ù con l’accento.
Il filo del discorso lo raccolse Pippo Lo Pepe, che sistemò un unico lungo foglio sul leggio, si presentò e srotolò il suo racconto.
Quando, quando, quando
Quando, aprendo gli occhi la mattina al trillo della sveglia… hai la mente talmente annebbiata che la menziona persino onda-verde alla radio!
Alf si avvicinò al microfono, “è con mia grande costernazione, che devo annunciarvi il rapimento del grande poeta male detto, perché di difficile pronuncia, Arturo Srnvvffgh.
Vi leggo il testo della lettera anonima.”
M.A.C.O.M.E.M.A.I. Indecenza e inciviltà
Movimento Anti Colti Omosessuali Meglio Essere Maschio Analfabeta Ignorante.
Mic Nera si avvicendò al microfono. Si presentò, poi aggiunse “speriamo che Arturo Srnvvffgh venga rilasciato e ritorni fra noi sano e salvo, per allietarci ancora con un’altra caterva di arte con la A maiuscola. Nel frattempo, vi leggo un mio racconto.”
Credimi, almeno tu
Stavo camminando nei pressi di casa mia pensando agli affari miei, in una di quelle stradine buie e isolate, quando avvenne ciò che tutti temiamo in simili frangenti, facendo gli scongiuri affinché non accada, seppur non facendo nulla per evitarlo, perché ci ritroviamo inevitabilmente a passeggiare in quelle dannate stradine buie e isolate: un tizio mi si parò all’improvviso davanti, puntandomi una pistola in faccia. “Cazzarola, una rapina,” pensai.
Eveline ringraziò, si presentò e poi disse “prima o poi vivremo tutti in un mondo in cui le differenze fra le persone non saranno più oggetto di discriminazione per nessuno. Anzi, saranno interpretate per ciò che sono in realtà, cioè elementi apportatori di valore e ricchezza culturale. È solo questione di tempo. I razzisti hanno vita breve. Ciò che sta accadendo in questi tempi decisamente cupi, in particolare in Ailati, ma anche nelle poche ultime dittature nel mondo, è l’ultimo colpo di coda di una morente maniacale ideologia: l’iodeologia, la sindrome di superiorità. Nient’altro che una manifestazione della propria impotenza.”
Iniziò a leggere il suo racconto.
Inseguito da un’aznalubma
Sono meravigliato, anzi, scosso, non solo dalla sua tempra, ma soprattutto dalla velocità con cui agita le braccia. Mi sono distratto per colpa di questa scema, che m’infila sempre le mani dappertutto, penso “e mo’ che gli dico?”
“Scusa, ho perso il controllo, mi è sfuggito lo sterzo dalle mani.”
“Scusa un cazzo…” mi spara in faccia, “tu le mani le tenevi sulle tette di questa stronza che ti porti dietro.” Non l’avesse mai detto, Mirka diventa viola, “stronza a chi?” Esplode. “Stronza è quella grandissima puttana di tua madre.”
Sul palco salì Teo Borr, indeciso se leggere in quel momento o dopo, ma la spinta di Mila Media pose fine ai tentennamenti e Teo, dopo essersi presentato al pubblico, si apprestò a leggere il suo nuovo racconto.
Credevo mi sfottesse
Credevo mi sfottesse invece… faceva sul serio, ormai ne ero convinto. Giocherellava con quel cazzo di martello da due ore buone. Il suo piano si chiariva nella mia mente intorpidita dall’hascish. Mi aveva fatto fumare, oddio… la cosa mi trovava pienamente d’accordo, un cannone esagerato, e di un fumo proveniente direttamente dal Comorac, paese divino e misterioso. Comunque l’avevo sgamata, avevo scoperto il suo gioco. A conferma delle mie intuizioni si alzò e si diresse verso il ripostiglio degli attrezzi, ne ritornò con quattro chiodi enormi, dio!… quanto enormi.
Alf accostò il cellulare all’orecchio “pronto? Cerca me? Capisco, un momento.” Sussurrò rivolto a Mic Nera, che nel frattempo si era avvicinato ai due, “Mic, si può passare la telefonata in diretta?” Questi rispose in tono preoccupato, “credo di si, ma si può sapere chi è?”
“Lo scoprirai ascoltando.”
La telefonata dei rapitori
L’audio giunge in piazza amplificato. Il pubblico ascolta un po’ incuriosito, un po’ allarmato per la telefonata improvvisa.
Alf chiede, “pronto?”
Arturo, “pronto… pronto… rispondete.”
Alf, “ma chi è?”
Arturo, sembra non sentire… “che qualcuno mi aiuti, per l’amor di dio.”
Si ascolta un’altra voce…
Rapitore, “ma di quale dio parli? Bastardo! Cane infedele, miscredente. ebero, solummanu.”
Arturo, si becca una raffica di schiaffi. “ahi, ohi, uhi…” esclamazioni di dolore ripetute, “la prego, non mi faccia del male. La supplico.”
Riprende il reading. Sasà Londre cominciò a leggere il suo racconto, ma prima disse “pe’ nu’ cuofono d’anni, ogni volta ca pe’ televisione sentevo e’ parlà da’ striscia e’ Gaza, me credevo che fosse nu’ tipo e’ cocaina mediorientale.”
L’ha tentato
Passavo da lì per caso. Sono attratto da quegli oggetti di legno, ricchi d’intarsi. Mogano, ebano, noce: che essenze, tutto per le care assenze. Perfette, lucide. Se non fossero casse da morto ne comprerei una da porre in bella vista in casa. Magari nel soggiorno, come cassapanca. Con un bel vaso da fiori su un centrino di merletto.
La storia parlerà di questo periodo come di uno dei peggiori momenti della vita del paese, ma tant’è… che vi legga il mio racconto.”
Pronto, c’è Jimmy? No, ha sbagliato numero
Il caffé mi scende giù amaro. Ho dimenticato di zuccherarlo. Fa niente, tanto fra un po’ ne prenderò un altro. La giornata è lunga, lunghissima.
Entro nel bagno abbagliato dalla luce della lampada. Capita puntualmente ogni mattina. Spengo e siedo sul bordo della vasca in trance. O meglio, penso… il cesso è il miglior posto per pensare. È qui che mi sono venute le idee migliori. Già, ma adesso? Mi manca l’ispirazione.
Al microfono andò Pulp Pecora, si presentò “buonasera a tutti. A volte credo che il mondo sia una palla blu galleggiante in un immensa vasca da bagno dove sguazzano i figli di Zeus. Vi leggo il mio racconto.”
Me ne andavo per una selva oscura
Me ne andavo per una selva oscura… ebbene si, sarà anche l’incipit più famoso del mondo, ma io proprio per una selva oscura me ne stavo andando, quando incontrai il computatore capo Bartolini, anch’egli in preda a un forte dubbio, “ma dove siamo andati a finire?” Gli si leggeva stampato in volto.
Alf annunciò l’ultimo racconto e diede appuntamento a un ipotetico prossimo reading, ancora senza posto e senza data, “ma si farà, si farà.”
La notte era calda e umida come la figa della cassiera del bar di sotto.
Nooo… i tentativi di generare, con la propria mente, una qualsiasi forma d’arte dall’aspetto vagamente letterario, un sabato mattina quando, la sera precedente, o meglio la notte, ci si è dati con tutto l’amore per sé stessi al più puro e genuino divertimento, durante una festa affollatissima condita da splendide sconosciute, alcool e balli sfrenati risultano, come è chiaro da queste iniziali parole, decisamente improduttivi, banali, risaputi: non basterebbe una risma di carta per comporre uno, ma che dico, mezzo foglio con su spiaccicate parole in sequenza comprensibile, magari capaci di suscitare in un probabile lettore una sorta di emozione, un sorriso, stimolare un pensiero fecondo, far sgorgare una lacrimuccia di commozione.
Alf raccolse i fogli, diede un’occhiata all’orologio, si guardò in giro… in fondo il tempo per un altro lettore c’era, perché no. Lanciò ancora una volta il rituale invito, “chi va, chi va?”
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